Intervista esclusiva a Francesco Lippi, presidente del Fapi: «Il futuro? Ancorare il rinnovo contrattuale al fondo di riferimento. Le sfide: ripensare le articolazioni regionali e un’offerta che valorizzi le differenze territoriali.
«Aspettiamo la fine dell’anno per capire cosa sarà stabilito dalla Legge di Stabilità circa il minor trasferimento di risorse: si parla di 220 milioni di euro. Questo è un problema. Sono soldi della imprese, che servono per la formazione dei dipendenti». E ancora: «In Italia troppi fondi, ne basterebbero 5 o 6». Sono alcuni stralci dell’intervista a Francesco Lippi, presidente del Fapi, che pubblichiamo.
Gentilissimo Presidente, complimenti per la rielezione alla guida del Fapi, fondo interprofessionale per la formazione aziendale, fiore all’occhiello di Confapi. A bruciapelo, quali sono le priorità del nuovo mandato?
«Intanto ringrazio i colleghi e i soci del Fondo per la fiducia che mi è stata rinnovata. Evidentemente il lavoro che abbiamo avviato negli ultimi due anni è stato apprezzato. Poter andare in continuità ha certamente dei vantaggi notevoli. L’obiettivo principale è quello di continuare sulla strada della crescita e posizionamento del Fondo, che ha grandi spazi di manovra nonostante operi all’interno di un “mercato” dell’offerta formativa che è sempre più agguerrito. Sul futuro dei Fondi si fa un gran parlare, probabilmente il loro proliferare negli anni ha generato una “concorrenza” che non ha un grande senso. Credo che la strada da seguire sia quella intanto di ancorare ai rinnovi contrattuali al fondo di riferimento delle sigle con le quali si sottoscrive il contratto, questo semplificherebbe di molto le cose e consentirebbe di massimizzare le attenzioni sull’individuazione dei migliori strumenti da mettere a bando a supporto delle aziende e dei lavoratori. Il Fondo Fapi è un patrimonio delle PMI italiane: ci siamo dall’inizio e lavoriamo per essere una presenza e un riferimento anche nel prossimo futuro».
Proprio in questi giorni il Fondo compie 13 anni, coetaneo ai principali strumenti concorrenti italiani. Il mercato di riferimento, dove i fabbisogni formativi delle imprese incontrano l’offerta degli strumenti interprofessionali, ormai corre verso la saturazione. Dati INPS certificano 300mila lavoratori ancora non aderenti a fondi interprofessionali. Un bel numero su cui lavorare, ma sicuramente dimostrazione di un mercato saturo. Un contesto nuovo che obbliga tutti gli attori a una sana competizione, alla definizione di strategie competitive: da un lato per rispondere alle aspettative crescenti del tessuto imprenditoriale, dall’altro per reggere la concorrenza dei competitor, sia storici e blasonati, sia di recente costituzione e molto agguerriti. Condivide?
«Condivido, e come ho detto prima questa è una anomalia che invece di favorire i Fondi li mette in concorrenza tra loro, disorientando le Aziende che spesso delegano ai propri consulenti l’adesione ai Fondi o peggio non sono neanche a conoscenza del fatto che versano in proporzione dei soldi che possono utilizzare per migliorare e aggiornare le proprie qualifiche interne».
I fondi interprofessionali crescono anche per il tramite di soggetti aggregatori, spesso di emanazione Confapi, e di altri soggetti intermedi: enti di formazione, consulenti del lavoro, liberi professionisti. In che modo il contributo di questi soggetti verrà sostenuto piuttosto che incentivato?
«Nell’ultimo periodo abbiamo lavorato per riavvicinare il territorio al Fondo, una operazione importante perché sono i nostri osservatori in un Italia dalle peculiarità imprenditoriali diverse a secondo delle zone di appartenenza. Dobbiamo proseguire intanto su questa strada, intensificando la nostra presenza e animandola con incontri e azioni di marketing, anche se le risorse a disposizione sono veramente poche. Abbiamo in essere per il 2016 un grande progetto che coinvolgerà tutte le nostre importanti parti socie (Confapi, CGIL, CISL e UIL), che concordemente valutano il Fapi una grande risorsa da valorizzare sempre di più».
Il Fapi promuove un sistema solidaristico che permette anche alle aziende più piccole di poter accedere alla formazione. Un meccanismo che si regola per il tramite di strumenti – avvisi o reti – che permettono e necessitano una regolazione a livello territoriale. Le articolazioni regionali quale ruolo giocheranno nella strategia futura del fondo?
«Questo è un punto sul quale va aperto un dibattito, serio e immediato. Personalmente credo che il valore che le articolazioni possono portare al Fondo sia di gran lunga superiore a quello che fino ad oggi le stesse sono riuscite a fare. Il sistema solidaristico è una bella cosa, che se vogliamo rende il nostro Fondo “diverso” dagli altri. Ma oggi va premiata anche chi lavora meglio e chi contribuisce di più a far crescere il nostro sistema, che nel corso del 2015 ha invertito la tendenza che aveva portato alla perdita di diverse aziende, rigenerando un senso di fiducia e di fidelizzazione nei nostri confronti».
Restando sulla questione della territorialità, il fondo nel corso del 2015 ha dimostrato di riuscire a crescere nonostante gli stenti dell’economia. Dati alla mano, il quadro per quanto incoraggiante appare eterogeneo. Regione per Regione le adesioni al fondo riflettono una buona politica di prodotto declinata dal sistema associativo territoriale di Confapi, con tutte le sue peculiarità. Il futuro del Fondo appare pertanto segnato da differenze territoriali evidenti che richiederebbero risposte diverse.
«Se da una parte è vero che siamo cresciuti nei numeri complessivi è anche vero che proprio la crisi e i nuovi strumenti per l’accesso al lavoro stanno mettendo in serio dubbio il valore del “versato” per singolo dipendente. Anche su questo stiamo analizzando la situazione per orientare al meglio le nostre scelte strategiche. Il resto verrà di conseguenza. Gli avvisi regionali sono già inseriti all’interno dei bandi “generalisti” che offriamo ogni anno, e quelli a sportello stanno dando ottimi risultati. Ma possiamo e dobbiamo fare di più, con il concorso di tutti. Per questo apriremo dall’inizio del nuovo anno dei tavoli tematici che avranno il compito di discutere, alla luce delle reali necessità e opportunità, come pianificare l’offerta formativa per il 2016, che sarà di base per circa 11 milioni di euro».
Una battuta sui prodotti. Il mondo della formazione si evolve rapidamente e i campi di applicazione sono sempre più vasti. Formazione interaziendale, aziendale, individuale, a distanza. La flessibilità dei prodotti diventa una necessità. Come la vede?
«Questo è il tema che può fare la differenza tra noi e gli altri Fondi. Nel paese si era generata la tendenza del cosiddetto “conto formazione” che garantiva all’ azienda di generare una sorta di conto corrente personale sulla formazione sulla base dell’effettivo versato. Noi non crediamo sia questo il modo migliore per proporsi sul mercato della formazione continua. Gli avvisi regionali inseriti all’interno dei bandi “generalisti” che offriamo ogni anno restano comunque ancora un valido strumento di risposta, con pochi paletti e lasciando alla “creatività” dell’azienda proporre i piani».
Una delle possibili critiche all’operatività del fondo sono i tempi. Le imprese operano in uno scenario competitivo dove i tempi giocano un ruolo strategico. L’iter gestionale della formazione, dalla rilevazione dei fabbisogni all’avvio delle attività, è ancora molto lungo. Lo ritiene un ostacolo superabile o un limite fisiologico?
«E’ stato il primo obiettivo che mi sono posto da Presidente: lavorare per velocizzare le procedure e accorciare i tempi. Abbiamo fatto passi da gigante in questo senso. Quello che a volte occorre capire che noi operiamo con Fondi pubblici, nonostante siano versamenti privati. Quindi occorre gestire sempre tutto secondo le normative impartite dal Ministero per evitare ogni qualsiasi problema. Con il nuovo sistema informatico, che entrerà in funzione da Febbraio 2016, miglioreremo la nostra capacità di gestione e controllo. Insomma sicuramente abbiamo ancora da fare, ma in questo ultimo anno molto è stato fatto proprio per arrivare all’obiettivo di rispettare le necessità e i tempi dell’impresa e dei lavoratori».
Il Governo Renzi ha introdotto l’ANPAL, agenzia per il riordino delle politiche attive del lavoro, attribuendogli poteri di vigilanza sui fondi interprofessionali. Cosa cambia per il Fapi? Cosa teme e cosa auspica?
«Ancora sinceramente non è chiaro cosa e come l’ANPAL interagirà con i Fondi. Mi chiede se si poteva fare a meno di questa nuova struttura? Io immagino di si, ma poi bisogna stare nella testa di chi l’ha pensata e decisa. Intanto adesso aspettiamo la fine dell’anno per capire cosa sarà stabilito dalla Legge di Stabilità circa il minor trasferimento di risorse. Si parla di 220 milioni di euro, la stessa cifra che già nel 2014 ci era stata sottratta. Questo è certamente un problema. Sono soldi della imprese, che servono per la formazione dei dipendenti. Non si capisce per quale motivo in maniera assolutamente arbitraria e senza una concertazione con le parti sociali si debbano scippare queste risorse alle imprese, che ignare pagano due volte».
Per concludere, una provocazione: c’è chi dice che i fondi, ben diciotto, siano troppi. Lei cosa ne pensa?
«In realtà se consideriamo anche quelli commissariati saliamo a 21. Certamente sì, molti fatti con sigle sindacali semi sconosciute. Credo che nel nostro Paese ne basterebbero 5/6, la riduzione andrebbe a vantaggio delle PMI italiane. E, naturalmente, il FAPI deve essere tra queste».
Ufficio Stampa Confapi Padova
stampa@confapi.padova.it