Futurlab per prima ha sviluppato i sistemi di screening per il Covid-19. Bianchi: «È stata una corsa contro il tempo. E non facciamo confusione con i tamponi»
Con il test sierologico si può stabilire per ogni dipendente che entra in azienda se è affetto da coronavirus. Oppure se è già stato contagiato in passato (magari senza neanche saperlo, perché asintomatico) e ha sviluppato anticorpi. Ne abbiamo parlato con Piero Bianchi, general manager di Futurlab, azienda di Limena che per prima in Italia ha messo a punto la macchina utilizzata per eseguire i test.
«La nostra azienda commercializza sistemi diagnostici per laboratori di analisi chimico-cliniche, case di cura, studi medici, laboratori di analisi agroalimentari, ambulatori e cliniche veterinarie. In queste settimane abbiamo potenziato la linea destinata all’uomo adattando la strumentazione che utilizzavamo nell’agro-food per eseguire il test Covid-19 attraverso le micropiastre Elisa IgG e IgM», spiega Bianchi. «Li eseguiamo attraverso il robot Stratego, una macchina costruita interamente in Italia da un produttore della zona di Bergamo, peraltro, come sapete, tra le più coinvolte dall’epidemia. La macchina è stata brandizzata Futurlab e funziona attraverso un kit che arriva dagli Stati Uniti. Ebbene, siamo stati presi d’assalto, perché i più grossi gruppi di laboratori italiani si sono rivolti a noi e usano i nostri strumenti».
Avete “dirottato” subito la vostra attività su questi robot?
«Sì, siamo stati subito “sul pezzo”, focalizzandoci sul Covid-19: avevamo la macchina, la nostra intuizione è stata quella di adattarla perché facesse al caso e poi ci siamo messi immediatamente all’opera per stringere quanto più rapidamente la partnership con l’azienda degli Stati Uniti che fornisce il reagente che consente di farla funzionare. Questo ci ha consentito di essere i primi. È stata una corsa contro il tempo, che abbiamo vinto».
Anche la Ferrari ha utilizzato la vostra strumentazione.
«Sì, attraverso i laboratori del network Lifebrain. La squadra del Cavallino può contare su migliaia di testi sierologici (per i 4 mila dipendenti più, in una seconda fase, i rispettivi familiari) e sul supporto di un team dedicato di circa 40 persone tra operatori sanitari e personale di back office».
Ci può dire quali sono le dimensioni della vostra azienda e cosa potrebbe cambiare ora per voi?
«Contiamo 28 collaboratori e quasi 8 milioni di fatturato nel 2019, realizzato al 99% nel mercato italiano, anche se stanno arrivando sempre più richieste dall’estero. Oggi possiamo ipotizzare quantomeno di raddoppiare e forse triplicare il nostro fatturato. Questo però impone di ragionare su cosa faremo nei prossimi anni e come dovremo riorganizzarci. A lungo termine, ma anche più a stretto giro, chiedendoci ad esempio come ci comporteremo a ottobre o a novembre. Allargando la prospettiva, posso dire che ci siamo resi conto che le piccole e medie aziende come la nostra, in questo settore, in genere sono state più rapide nell’affrontare l’emergenza rispetto alle multinazionali che spesso hanno promesso i test senza riuscire poi a rispondere con la velocità che serviva alle richieste del mercato».
Recentemente, proprio in uno dei recenti webinar organizzati da Confapi Padova, il professor Crisanti, tra i massimi virologi internazionali, ha sottolineato come i test sierologici non sostituiscano i tamponi.
«È così: non facciamo confusione, l’uno non esclude l’altro. Il test sierologico va considerato come un test di screening, utilizzato dalle aziende per cautelarsi. Ma dove ci sono tante persone che lavorano assieme, come in fabbrica, non puoi certo utilizzare il tampone, che, al contrario, si usa per chi è malato: sarebbe impossibile farlo, per molte ragioni, in primis legate ai numeri. I test, invece, possono dire subito se la persona ha o ha avuto il virus. Credo che la medicina del lavoro lo immetterà nel novero dei test di routine dei prossimi anni, aggiungendolo, ad esempio, a quelli relativi a eventuali tossicodipendenze. Il prossimo interrogativo a cui rispondere semmai sarà: per quanto tempo si resterà immuni dove aver contratto il virus ed essere guariti?».
Diego Zilio
Ufficio Stampa Confapi Padova