All’indomani della lettera che il governatore Zaia ha indirizzato alla presidente Meloni abbiamo intervistato il professor Andrea Giovanardi, componente del comitato chiamato a definire i livelli essenziali delle prestazioni, per capire cosa succede adesso: «È già possibile negoziare su alcune materie».
Professore, andiamo subito al cuore della questione, è soddisfatto della legge Calderoli?
«Moderatamente. E mi spiego: è un punto d’arrivo importante e, quindi, non può che esserci soddisfazione per il risultato raggiunto. D’altro canto, è evidente che la legge, così com’è, risente di alcuni compromessi, per la verità inevitabili». A rispondere è il professor Andrea Giovanardi, docente di diritto tributario all’Università di Trento e componente del Clep, il Comitato tecnico per la determinazione dei Lep - che raccoglie le massime autorità nel campo amministrativo e accademico, del diritto costituzionale, europeo e internazionale, e dell’economia - nonché membro della Commissione tecnica per la definizione dei fabbisogni standard.
In quali aspetti poteva essere migliore?
«L’articolo 8 della legge prevede che le risorse di cui le Regioni possono disporre, una volta trasferite le funzioni su cui è raggiunta l’intesa, debbano corrispondere alle spese che le Regioni sosterranno a fronte delle nuove competenze assegnate. Tutto ciò anche se la gestione regionale permettesse di ottenere dei risparmi rispetto a quanto spende lo Stato per offrire i medesimi servizi. Detto altrimenti, supponiamo che una determinata funzione sia gestita in modo più efficiente dalla Regione rispetto a quello che era in grado di fare lo Stato - è proprio questa la “scommessa” dell’autonomia differenziata -: ebbene, le somme risparmiate in ragione dell’efficienza non rimarranno sul territorio, ma verranno comunque acquisite dal centro. Questo mi sembra tutt’altro che giusto e, inoltre, influisce in modo negativo sugli incentivi a un esercizio più attento e cauto delle pubbliche funzioni».
E cosa le piace invece della riforma?
«Con la legge Calderoli si supera finalmente il totem dell’uniformità a tutti i costi e, cioè, l’idea che, per fare un esempio, il Molise debba per forza avere gli stessi poteri della Lombardia e che sia possibile calibrare politiche di gestione del territorio efficaci in situazioni completamente diverse disponendo di uguali prerogative. Di fatto, finalmente si riconosce a livello legislativo, in attuazione della Costituzione, l’idea della differenziazione, che è alla base del principio dell’autonomia e dell’autogoverno».
Ma è anche il motivo per cui le regioni del Sud protestano.
«Non c’è ragione di protestare. In primo luogo, proprio perché, come dicevo, la legge Calderoli prevede che non siano trattenute risorse aggiuntive rispetto a quelle che servono a coprire le spese sostenute per le funzioni trasferite. In secondo luogo, perché l’articolo 9 della legge introduce il principio di invarianza finanziaria per le altre Regioni, che, quindi, disporranno delle stesse entrate di cui disponevano prima. In terzo luogo, perché l’attuale contesto italiano - che è fortemente centralista – si caratterizza per un flusso unidirezionale di risorse da nord a sud, senza che ciò garantisca al Mezzogiorno una sufficiente crescita e quindi la riduzione del gap con le regioni settentrionali che, anzi, è andato progressivamente aumentando. L’idea che il Sud possa crescere grazie alla spesa pubblica e al trasferimento delle risorse altrui è smentita dalla storia».
È corretto dire che, di fatto, la riforma responsabilizzerà gli amministratori che gestiscono le risorse sul territorio?
«La Calderoli non è altro che una legge attuativa di una norma costituzionale, l’articolo 116, terzo comma. La legge è dovuta intervenire per determinare le procedure da seguire per consentire in concreto il riconoscimento di forme differenziate di autonomia e porre rimedio, finalmente, a un sistema ingessato e non in grado di funzionare al meglio. In questa prospettiva, la legge consente alle Regioni che vogliano mettersi alla prova di ottenere non intere materie - nessuno intende scardinare il Paese - ma funzioni e competenze da gestire in autonomia. Se le Regioni riusciranno a gestirle meglio ci saranno ricadute positive per i cittadini, tanto che la scommessa è proprio questa: garantire migliori servizi generando, poi, buone prassi che possano essere utilizzate anche da altre Regioni. Ci sono le condizioni perché Veneto, Lombardia ed Emilia-Romagna possano riuscirci».
E così arriviamo alla stretta attualità e alla lettera che il governatore Zaia ha scritto alla presidente Meloni, mirata alla riapertura del tavolo di confronto per l’attuazione dell’autonomia differenziata, ricominciando a trattare sulle nove materie - sulle 23 trasferibili - per cui non è prevista la definizione dei Lep. Ci spiega che significato ha questo atto?
«Ci sono funzioni collegate a determinate materie che, avendo a che fare con i diritti civili e sociali dei cittadini, non possono essere trasferite alle Regioni fino a quando non saranno determinati i livelli essenziali delle prestazioni, i cosiddetti Lep, e calcolati i relativi costi e fabbisogni standard. I Lep sono soglie minime al di sotto delle quali non si può scendere, perché, quando ci sono di mezzo i diritti, devono essere garantiti servizi il più possibile omogenei in tutto il territorio italiano, da nord a sud. Ci sono invece nove materie che non riguardano i diritti civili e sociali, per le quali, sin dall’entrata in vigore della legge Calderoli è già possibile iniziare il confronto tra Regioni e governo. La lettera del presidente Zaia ha lo scopo di per far partire i negoziati dove è già possibile farlo».
Non c’è nessuna forzatura, quindi.
«Assolutamente no, perché è la stessa Calderoli a prevedere che le materie non LEP - pensiamo al commercio estero o alle professioni, solo per fare due esempi - possano essere negoziate sin da ora».
E veniamo al capitolo tempi. Zaia afferma di puntare a chiudere questa prima fase con una bozza di accordo già entro la fine dell’anno.
«L’articolo 2 della legge Calderoli si occupa espressamente di questo, scandendo i tempi delle trattative e della successiva approvazione delle intese. Non entro nel merito dei tempi della politica e delle negoziazioni tra Stato e regioni: è difficile fare previsioni sulla durata della contrattazione, anche su questioni semplici, tra privati, figuriamoci se al confronto vanno il Governo e le Regioni e se il negoziato ha per oggetto il trasferimento di funzioni e competenze fino a oggi gestite a livello statale».
La legge dà 24 mesi di tempo per fissare i “livelli essenziali delle prestazioni” per le altre 14 materie. È ipotizzabile che il Veneto possa ottenerle tutte?
«Facendo parte sia del Comitato che si occupa dei Lep, sia della Commissione tecnica dei fabbisogni standard, le posso assicurare che non è un lavoro semplice quello che stiamo svolgendo. Prova ne sia che è da più di vent’anni che non si riesce ad arrivare alla determinazione dei Lep in molte delle materie che possono essere oggetto di richieste di differenziazione. Per quel che riguarda il Veneto, tengo a precisare che non si richiede, ne davo già cenno prima, la devoluzione di intere materie, ma, piuttosto, l’attribuzione di funzioni e competenze da gestire con più efficienza in modo da fornire migliori servizi ai cittadini. Difficile ipotizzare che il governo decida di assecondare senza riserve tutte le richieste della Regione».
Diego Zilio
Ufficio Stampa Confapi Padova