Il 16 dicembre 1994 nasceva la Fondazione diventata il faro delle malattie pediatriche. L’anniversario è stato celebrato al Gran Teatro Geox. Confapi Padova era presente e, per l'occasione, ha intervistato in esclusiva il fondatore Franco Masello: «Mi piacerebbe che i lavori iniziassero nel 2025 per essere completati nel 2026. Sostenere la ricerca ? Un atto di responsabilità verso sé stessi e un investimento per il futuro delle generazioni che ci seguiranno».
Un grazie lungo trent’anni. È quello che la città ha tributato alla Fondazione Città della Speranza, richiamando più di 1.650 persone tra amici, sostenitori, professionisti, medici e i rappresentanti del mondo della politica e delle istituzioni venete - tra cui una delegazione di Confapi Padova, presente, tra gli altri, con i vicepresidenti Giovanni Manta, Luigi Bazzolo, Franco Pasqualetti e Jonathan Morello Ritter, con la componente del Consiglio direttivo Antonia Perozzo e con il direttore Davide D’Onofrio. È stata l’occasione anche per fare il punto con alcuni numeri legati alle attività della Fondazione, dal 16 dicembre 1994 impegnata a combattere e curare ogni tipo di leucemia pediatrica: dai 110 milioni di euro raccolti dai donatori e investiti per i bambini (4 milioni per il reparto, 7 per il day hospital, 50 per la ricerca - di cui 15 nella diagnostica avanzata -, 33 per la costruzione della prima torre e 1,2 per l’acquisto del terreno per la seconda). E poi 70 ricercatori interni e 210 universitari, 31 laboratori in 17.000 metri quadrati, 2.500 diagnosi all’anno, che sono un numero per molti versi spaventoso, sostenuto però da percorsi di cura e di assistenza lungo cui i piccoli malati e le loro famiglie possono camminare con più fiducia. E proprio da qui comincia la riflessione del fondatore Franco Masello.
Dottor Masello, si aspettava tutto questo affetto da parte del territorio?
«Tengo a precisare che la Fondazione non ha investito un solo euro nella festa, che per certi versi ci ha visti come ospiti e per la quale dobbiamo ringraziare tanti amici, a partire dalla Regione Veneto e, in particolare, dal consigliere Clodovaldo Ruffato. A proposito di ringraziamenti, ci piace pensare a questa celebrazione come a un momento per dire “grazie” a quanti ci hanno permesso di arrivare fino a qui in questi trent’anni. È una presa di responsabilità nei confronti della ricerca: se ognuno di noi gode di buona salute lo deve alla ricerca che continua a compiere grandi passi in avanti e a raggiungere sempre più importanti traguardi. Sostenere la Fondazione, e attraverso le attività dell’Istituto di Ricerca Pediatrica aiutare la ricerca, non è beneficenza: è un atto di responsabilità verso sé stessi, un investimento per il futuro delle generazioni che ci seguiranno e ovviamente un grande impegno nei confronti di chi ora ha bisogno».
Trent’anni fa si aspettava che sareste arrivati dove siete oggi?
«Quando mi metto in moto per un progetto non mi pongo mai un limite. L’obiettivo è sempre il risultato da conseguire. Ma, se mi guardo indietro, quello che più ci gratifica è che, all’epoca, quando un bambino si ammalava si pensava a quale fosse la miglior clinica all’estero. Oggi, invece, non passa più nella testa di nessuno e, anzi, ci sono anche famiglie che dall’estero si rivolgono alle strutture padovane».
E in questo senso, quale sfida si pone per il futuro?
«Continuare a contribuire a sconfiggere queste malattie, e sono certo che attraverso le tecnologie di ingegneria cellulare e una medicina personalizzata arriveremo a curare anche quei bambini che oggi non riescono a guarire con la chemioterapia, e sempre con meno ripercussioni. Cambiando lo statuto della Fondazione abbiamo voluto allargarci a tutte le malattie rare pediatriche. Quando un genitore ha il figlio ammalato non guarda le statistiche o quale malattia sia in corso, pensa solo a salvarlo. E quei figli sono figli nostri. Oggi l’Azienda ospedaliera di Padova ha probabilmente a disposizione la più grande banca dati del mondo relativa alle leucemie pediatriche, e a linfomi, sarcomi e tumori cerebrali, e questo ha contribuito notevolmente ad aumentare le possibilità di cura».
La Fondazione Città della Speranza ha nella Torre della ricerca di Corso Stati Uniti a Padova un emblema conosciuto ormai in tutta Europa. Ma la vera sfida, oggi, si chiama seconda torre, è così?
«I tempi per la costruzione dipendono dal fattore economico. Mi piacerebbe che i lavori iniziassero nel 2025 per essere completati nel 2026. Abbiamo acquistato il terreno, mentre il primo ci era stato regalato a suo tempo dal Consorzio Zip».
Quante risorse vorrebbe avere a disposizione all’anno?
«Per la ricerca ne servono tanti. Più soldi abbiamo e più ricercatori possiamo coinvolgere, finanziando progetti. Per cui alla domanda rispondo così: un numero infinito. Avessi un centinaio di milioni a disposizione subito potremmo avanzare notevolmente nella ricerca, arrivando prima alle risposte che cerchiamo. Ogni anno investiamo nella ricerca tra i 5 e i 6 milioni, il resto serve per le attrezzature e gli strumenti. Potessimo dotarci una decina di milioni all’anno da destinare solo alla ricerca, sarebbe già un bel passo avanti. Per capirci, spenderemo una ventina di milioni per costruire la seconda torre: non andranno direttamente a finanziare la ricerca, ma senza torre non potremmo farla».
Diego Zilio
Ufficio Stampa Confapi Padova