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CONZATO (PROMEX): I DAZI USA SONO UNA MINACCIA PER L’EXPORT, A RISCHIO 625 MILIONI A PADOVA E 5 MILIARDI IN VENETO

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«L’Unione Europea deve trovare l’intesa, gli accordi bilaterali non servono a nessuno»

È scontro sui dazi tra Usa e Ue. Donald Trump come noto ha prorogato al 1° giugno il termine ultimo per l’imposizione dei dazi sull’acciaio (al 25%) sull’alluminio (10%), rimandando di fatto la decisione sulla loro entrata in vigore e potenzialmente posticipando una guerra commerciale. Il tema è delicato. Confapi l’ha affrontato assieme a Franco Conzato, direttore di Promex, Agenzia per l’internazionalizzazione della Camera di Commercio di Padova.

Direttore, per inquadrare il problema partiamo dai numeri: a quanto ammontano le esportazioni padovane e venete verso gli Usa?

«L’export veneto verso gli Usa nel 2017 è cresciuto del 4% rispetto all’anno precedente, arrivando a toccare i 4,9 miliardi di euro. Oggi la regione esporta l’8% della sua produzione negli States, terzo paese di destinazione dopo Germania e Francia e davanti alla Gran Bretagna. Per quanto riguarda la provincia di Padova, le sue esportazioni ammontano a 625,5 milioni di euro. Agli americani vendiamo macchinari, apparecchiature, prodotti tessili, abbigliamento, occhiali e sempre più prodotti alimentari e vini».

Non acciaio e alluminio?

«No, e questo è un primo punto da chiarire: i dazi ventilati al momento riguardano esclusivamente le materie prime e non il loro impiego nei macchinari. Oggi le imprese padovane non esportano acciaio e alluminio direttamente, ma prodotto elaborati o finiti. Per quanto riguarda l’Italia nel suo complesso, invece, il totale delle esportazioni di acciaio e alluminio verso gli Stati Uniti nel 2017 è stato di 760 milioni di euro, su un totale di 40 miliardi di export verso gli Usa».

Sino a che punto è il caso di preoccuparsi, quindi?

«È chiaro che il timore è un altro, e cioè che è che altri prodotti e settori di punta del made in Italy possano subire lo stesso trattamento. E che questo processo possa portare a ritorsioni che innescherebbero un effetto domino sull’economia globale. Non solo, potrebbero andare a interessare poi anche il settore dei cambi delle varie valute con il dollaro, per ovviare all’effetto dei dazi».

Quali sono le reali ragioni delle misure?

«Credo sia necessario partire da un dato: gli Stati Uniti hanno un deficit nello scambio commerciale globale con l’Europa di 151 miliardi. La porzione che riguarda i due metalli è relativamente irrisoria, nel conto totale. Queste misure celano in realtà la preoccupazione del governo Trump per quanto accade nel settore specifico della vendita delle automobili, nel quale il saldo negativo per gli Usa è molto pesante, arrivando a toccare i 41 miliardi di dollari. Riequilibrare le cifre relative non è semplice, anche perché l’ostacolo alla circolazione delle auto americane in Europa non sono le tasse di importazione, ma le scelte di acquisto fatte dai consumatori locali. D’altra parte le aziende tedesche, che di quel disavanzo sono l’artefice principale, sono anche costruttrici di vetture made in Usa che vengono poi esportate nel resto del mondo».

Come si uscirà da questa situazione?

«Innanzitutto occorre tenere a mente che l’incertezza è la condizione peggiore. Trump alcune settimane fa ha spostato al 1° giugno i termini per ogni decisione, ma quale che sia è bene che arrivi presto, perché qualsiasi impresa ha bisogno di poter programmare. Dopodiché il ruolo principale lo deve giocare l’Unione Europea, partendo dal presupposto che la situazione europea non è assolutamente equipollente a quella della Cina: nei confronti della Cina i dazi sono motivati da questioni legate alla proprietà intellettuale e allo spionaggio industriale, niente di tutto questo riguarda l’Europa, nei confronti della quale l’applicazione dei dazi è qualcosa di antistorico, e da impedire. In questi mesi abbiamo visto che la tendenza del governo Trump è quella di privilegiare gli accordi bilaterali, ma teniamo presente che questo tipo di accordi non conviene assolutamente a nessuno: un conto è se a negoziare sono Germania, Francia o Italia, un conto se a farlo è l’Europa nel suo insieme, che può contare su altri numeri e un altro peso».

Diego Zilio
Ufficio Stampa Confapi Padova
stampa@confapi.padova.it

 

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