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CRACK EUROFIDI, OLTRE 2.000 PMI VENETE COINVOLTE

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Virginio Novali, presidente di Confapi Lombarda Fidi: «Il sistema dei consorzi fidi subentrerà nelle posizioni lasciate scoperte, ma l’Italia ha un problema strutturale legato ai crediti deteriorati»

Liquidato. Il destino di Eurofidi, il più grande Consorzio italiano di garanzia fidi - 57.760 imprese associate, oltre 2.000 delle quali in Veneto, il 40% piemontesi, due miliardi e 600 milioni di garanzie in essere, 215 dipendenti in Italia  - si è consumato da pochi giorni. E, chiuso un capitolo, se ne è subito aperto un altro, perché di fatto viene messo in disarmo un pilastro del sistema dei confidi, minato da un disavanzo di 50 milioni nel bilancio 2016. E’ questo lo spunto per l’intervista a Virginio Novali, presidente di Confapi Lombarda Fidi, il Confidi di emanazione delle Associazioni delle piccole e medie imprese aderenti a Confapi, che vi proponiamo.

Presidente, partiamo da qui: cosa rischiano le imprese che hanno ottenuto prestiti dalle banche, garantiti da Eurofidi?

«Innanzitutto diciamo che certi allarmi sono infondati: Eurofidi ha già chiesto ad altri confidi di subentrare nelle garanzie, e le banche sono comunque tenute a garantire gli investimenti già stipulati con le imprese».

Allarghiamo la prospettiva tornando a monte, come si è arrivati a questa situazione?

«Negli ultimi cinque anni, in Italia, il credito deteriorato (cioè concesso dalle banche e mai più rimborsato, perlopiù a causa della recessione, ndr) riconducibile alle imprese è triplicato, portandosi da circa il 10% a circa il 30%. Parliamo di oltre 260 miliardi di euro. Le sofferenze (sempre riconducibili alle imprese) a ottobre 2008 ammontavano a 76 miliardi di euro; a marzo 2016 hanno raggiunto i 154 miliardi. Che il credito deteriorato sia in Italia un’anomalia rispetto agli altri Paesi europei non è un segreto. Senza andare in Germania, possiamo ricordare che, mentre in Italia a marzo 2016 i crediti deteriorati sul totale dei crediti si attesta al 16,7%, in Francia si attesta al 4,3% e in Spagna al 7,1%».

Ma la crisi non è stata mondiale? L’Italia cosa aveva di meno di Spagna e Francia per trovarsi in questa situazione?

«La Spagna nel 2012 ha attuato un’importante ristrutturazione del sistema bancario nazionale usufruendo del sostegno europeo. Mentre noi ostentavamo la solidità delle nostre banche, la Spagna ha ricapitalizzato le sue con 39 miliardi, tre anni fa, e ha costituito la propria bad bank (SAREB). Il risultato è che con tanto credito “anomalo” da tempo nelle casse, la propensione al rischio delle banche resta di basso livello. Quindi, c’è offerta di credito ma si indirizza eccessivamente verso imprese particolarmente virtuose. L’asticella è in alto. La propensione al rischio, quando se ne ha tanto in pancia, è bassa. Il sistema confidi, che per sua natura si pone in una fascia di mercato del credito se non critico sicuramente problematico, non poteva non risentire di questa situazione. Così, in una crisi non momentanea ma strutturale (ormai persistente dal 2008), le banche, in un mercato “poco redditizio” considerati i tassi, hanno dovuto rivedere tutta la politica del credito riducendo gli impieghi nei confronti delle imprese, soprattutto di quelle “problematiche”, offrendo danaro a chi non lo usa e negli altri casi contro-garantendosi in tutti i modi o al Fondo Centrale di Garanzia o ai confidi laddove il fondo non interveniva. Ma il Fondo, anch’esso investito da richieste di intervento, ha annunciato una revisione dell’operatività: non assisterà più le erogazioni di finanziamenti alle fasce migliori se non in percentuali ben lontane dall’80% (si parla del 20%), rendendo la funzione dei confidi nuovamente indispensabile».

E la conseguenza quale sarà per il sistema confidi?

«Le banche riscopriranno la funzione dei confidi di categoria, che come il nostro operano sul territorio, si affiancano alle associazioni traendo da queste la conoscenza delle imprese che le vivono. Confidi come il nostro sono sinergici con il sistema associativo: in prima linea a valutare caso per caso, azienda per azienda, oltre i numeri, per cercare di capire se può esserci continuità aziendale e quindi a spronare le banche per la concessione del credito. Confapi Lombarda Fidi oggi si affianca alle imprese cercando di anticipare la necessità di credito, con istruttorie plafond che danno alle aziende una credenziale per il sistema bancario, deliberando nella stragrande maggioranza dei casi prima della banca».

Quindi sta dicendo che il crack di Eurofidi non deve spingere a un giudizio negativo verso tutto il sistema dei confidi?

«Fare di tutta l’erba un fascio sarebbe l’errore più grosso da compiere. I confidi sono un valido garante del credito e potrei dire, per quanto riguarda il nostro mondo, che la ripercussione più immediata della liquidazione di Eurofidi è che si liberano spazi per gli altri confidi. Nel nostro caso come Confapi Lombarda Fidi siamo in grado di fornire alla banca una delibera supportata non solo dall’analisi dell’ufficio fidi del Comitato Esecutivo ma dal parere di un Comitato Tecnico composto da imprenditori, indicati dalle territoriali, che si riuniscono ogni settimana - gratuitamente, lo devo sottolineare - per dare un parere di conoscenza sulle imprese, conoscenza data dall’appartenenza allo stesso territorio o settore. Oggi Confapi Lombarda Fidi, con un Total Capital Ratio del 23% e la presenza in oltre 15 provincie,  si pone sicuramente come un partner valido per le imprese e le gli istituti finanziari ed è stato riconosciuto da Banca d’Italia quale intermediario finanziario vigilato iscritto al nuovo albo 106, questi punti di forza ci hanno consentito di stipulare con le banche nuove convenzioni e plafond dedicati, e a condizioni agevolate, per il rilascio di garanzie a valere sul patrimonio nel nostro continuo sforzo di vicinanza alle imprese».

Nell’immagine i flussi di garanzie garantiti per regione da Eurofidi prima del crack, nel riquadro Virginio Novali, presidente di Confapi Lombarda Fidi

Diego Zilio
Ufficio Stampa Confapi Padova
stampa@confapi.padova.it

 

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