Se persino gli ingegneri elettronici vengono a mancare: l’inchiesta di Confapi sulla difficoltà delle aziende a trovare manodopera
Prosegue l’inchiesta di Confapi sullo scollamento tra scuola e mondo del lavoro. A parlare è Pierluigi Egidi, titolare di Seneca, azienda padovana attiva da oltre trent’anni nel settore dell’automazione industriale, un fatturato in crescita che si attesta attorno agli 11 milioni di euro l’anno, 58 dipendenti all’attivo. E la difficoltà nel trovare manodopera stavolta riguarda un settore in cui non ce lo si aspetterebbe: «Non troviamo ragazzi specializzati in ingegneria elettronica digitale».
Qual è la figura di cui avete bisogno?
«La nostra è un’azienda “completa”, nel senso che progettiamo e produciamo internamente strumenti elettronici e grazie alla sinergia di tre business unit (Interfacce per l’Automazione, Divisione Impianti, Forniture & Servizi) che ci consente di proporre un’offerta completa di soluzioni di automazione: dal singolo componente, all’impianto chiavi in mano. Ebbene, trovassi un paio di ingegneri specializzati nell’elettronica analogica e nelle telecomunicazioni li assumerei immediatamente, invece pare che nessuno voglia più occuparsi di misurazioni. Parliamo di un campo fondamentale nel nostro ambito».
Immaginiamo che anche lei, come gli altri imprenditori che abbiamo intervistato, si sia rivolto al mondo della scuola, in questo caso alla Facoltà di Ingegneria.
«Sì, gli ingegneri elettronici non mancano ma sono tutti specializzati nel digitale, l’analogico a quanto pare non attrae e di sicuro molto meno rispetto all’ingegneria informatica. Un professore che conosco bene mi spiegava di recente che di corsi gratuiti ne vengono organizzati, ma nessuno si iscrive. E invece sono numerose le aziende del nostro settore nella stessa situazione. Faccio un esempio che ci riguarda: recentemente un nostro ex dipendente ha lasciato Seneca per creare una sua azienda e ha avviato un suo business. Ci ha portato via alcuni clienti, ma la cosa in sé comunque non danneggia un’impresa delle nostre dimensioni. Il fatto che sia accaduto è, però, un segnale di quanto il mercato abbia bisogno di queste figure che le università non sfornano».
Da quanto tempo va avanti così?
«Ormai da diversi anni, ma la tendenza si è aggravata in tempi recenti, tanto da diventare tragica. L’unica soluzione per reperire figure del genere sarebbe quella di “rubarle” ad altre aziende. I fatti dicono che stiamo perdendo tutto un patrimonio di conoscenze e competenze basilari, che hanno consentito ad aziende come la nostra di crescere».
Ritiene che Fabbrica 4.0 e l'automazione industriale a lungo andare diventeranno uno sbocco obbligato per le pmi, proprio perché non si trovano più ragazzi disponibili a fare certi lavori?
«Le nuove tecnologie e Fabbrica 4.0 indubbiamente porteranno a modificare l’organizzazione delle aziende e l’orientamento degli imprenditori. È un processo apparentemente lento a partire, ma sarà sconvolgente per i risultati. Un esempio del passato è l’infomatizzazione nella contabilità aziendale: un PC e semplici programmi hanno eliminato decine di ragionieri che scrivevano a mano la partita doppia su carta ed è iniziato il periodo del gestionale nelle aziende, qualcosa che era impossibile pensare poggiasse solo su risorse umane. Fabbrica 4.0 vorrà dire aprire le risorse globalizzate al servizio della propria azienda e non viceversa».
Di fatto, già da oggi il problema dello scollamento tra scuola e mondo del lavoro va affrontato ampliando gli orizzonti, come sottolinea Jonathan Morello Ritter, presidente dei Giovani imprenditori di Confapi Veneto, intervenendo sul tema: «Oggi ragioniamo sul 4.0, ma, se è consentita una provocazione, dobbiamo già essere proiettati a quello che sarà il 5.0, perché diversi fra i ragazzi che cominciano a studiare adesso si troveranno a svolgere professioni che ancora non esistono. È fondamentale imparare a pensare a lungo termine e occorre che lo facciano tutti, tanto nel mondo dell’impresa quanto nel campo dell’istruzione» prosegue Morello Ritter. «Occorre creare un legame ancora più stretto fra le esigenze del territorio e le eccellenze presenti all’interno dell’Università, incentivando le collaborazioni strutturali. L’Università deve continuare a preparare i giovani alle sfide di domani mantenendo il suo respiro internazionale, ma senza perdere il suo radicamento in una realtà che ha esigenze specifiche e tenendo presente che l’offerta formativa deve essere rapportata alla domanda che verrà, perché nessun operatore si forma in poche settimane. La quotidiana esperienza al fianco degli imprenditori testimonia che è sempre più frequente il caso di chi non trova risorse umane adeguate alle proprie esigenze. Ma se trascuriamo le esigenze delle nostre imprese rischiamo di perdere tutti: università, imprese e giovani».
Diego Zilio
Ufficio Stampa Confapi Padova
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