Intervista al dott. Luigi Mori, rappresentante Confapi al tavolo ministeriale su salute e sicurezza
Il Dpcm del 13 ottobre fa esplicito riferimento al protocollo sulla sicurezza firmato ad aprile da Governo e parti sociali. Ma è ancora valido? E come devono prepararsi gli imprenditori al prevedibile aumento di contagi che si verificherà nelle prossime settimane? Su questi temi abbiamo sentito il dottor Luigi Mori, medico competente Confapi e rappresentante della Confederazione al tavolo ministeriale su salute e sicurezza.
Partiamo proprio da qui: il protocollo sicurezza firmato lo scorso 24 aprile è ancora attuale?
«Ci sono alcuni aspetti da rivedere, proprio perché, appunto, risale ad aprile e va rimodulato in base alle nuove conoscenze maturate in questi mesi e agli aggiornamenti che sono seguiti da allora, in particolare per quanto riguarda l’uso della mascherina, che andrà implementato ancora di più, anche nei luoghi produttivi. L’ultimo Dpcm a riguardo non è chiarissimo, perché lascia spazio a interpretazioni diverse riguardo al suo impiego nei luoghi chiusi, per cui l’aggiornamento del protocollo, su cui lavoreremo a breve di concerto con le parti sociali, dovrà fare chiarezza. Se ci basiamo sul trend epidemiologico degli ultimi giorni, ritengo che non possano esserci dubbi, specie considerando come le basse temperature a cui andiamo incontro nei prossimi mesi favoriscano la diffusione del virus».
Il cittadino medio rischia di smarrirsi di fronte ad altre 218 pagine di documenti (20 del Dpcm a cui aggiungerne 198 di allegati): da medico può dirci in tutta franchezza se dal Governo è giunta la risposta che vi attendevate all’emergenza?
«Sì, è quello che ci aspettavamo. Il testo è corposo proprio perché entra nel merito delle singole attività».
Ma al piccolo imprenditore che messaggio dobbiamo dare?
«Se la premessa è che il protocollo andrà rivisto in alcune parti non più attuali - perché superate dagli eventi e rese anacronistiche, come nei riferimenti alla disponibilità di Dpi - le indicazioni che forniva restano validissime. Penso, fra gli altri punti, all’incentivo allo smart working; all’invito a evitare riunioni in presenza e assembramenti all’interno di uno spazio aziendale, preferendo al loro posto riunioni e formazione online, quando è possibile; e quello a limitare i viaggi e a osservare tutte le precauzioni del caso se non sono prorogabili. Allo stesso modo, andranno operati adeguamenti, perché sono cambiate anche le regole della quarantena, per cui le persone sintomatiche risultate positive possono rientrare in comunità dopo un periodo di isolamento di almeno 10 giorni - e non più di 14 - dalla comparsa dei sintomi accompagnato da un test molecolare con riscontro negativo eseguito dopo almeno 3 giorni senza sintomi. Detto questo, lo ribadisco, i principi restano validi».
Per cui, se si presenta un caso di positività in azienda, cosa deve fare il datore di lavoro?
«Anche sotto a questo aspetto il protocollo fa chiarezza, spiegando il modo in cui un’impresa si deve comportare nel caso ci siano persone positive al suo interno. La regola dice che se un dipendente, un datore, un fornitore o altro professionista hanno una temperatura maggiore di 37.5° non può entrare in azienda. Nel caso di febbre comparsa sul luogo di lavoro la prima cosa da fare è avvertire il medico competente e l’Asl locale. Il consiglio, poi, è quello di fare riferimento ai numeri verdi regionali (in Veneto è l’800 462 340, ndr) e al 1500, numero di pubblica utilità attivato dal Ministero della Salute: non sono ancora così ingolfati in questi giorni, quindi dalla mia esperienza so che rispondono prontamente».
I 7.332 contagi dello scorso 14 ottobre costituiscono un triste record in Italia da quando è scoppiata la pandemia. Facile ipotizzare che la tendenza sarà questa: con l’aumentare dei contagi dobbiamo attenderci ulteriori strette nelle prossime settimane?
«Sì, per cui prepariamoci per non farci prendere di sorpresa. Ma dico anche che, se notate, quando le scuole erano chiuse, i luoghi di lavoro si sono dimostrati generalmente posti sicuri, e i focolai aziendali, tolte le Rsa, sono stati molto limitati. In parte ciò era dovuto anche alla stagione favorevole, ma, di fatto, le imprese sono ripartite in sicurezza. Questa è la dimostrazione che i protocolli servivano ed è anche la conferma alla necessità di mantenerli e di seguire le regole. Ma il punto, teniamolo a mente, è che le regole vanno osservate anche all’esterno dell’ufficio o della fabbrica, perché la maggior parte dei contagi si verificano al di fuori del luogo lavorativo».
Diego Zilio
Ufficio Stampa Confapi Padova