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EX ILVA, CAMISA: «APRIRE AD ACCIAIERIE EXTRA UE», VALERIO: «È IL MOMENTO DI PUNTARE SULL’ACCIAIO VERDE»

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La fase di stallo in cui sembra essersi arenata la vertenza dell’ex Ilva di Taranto preoccupa le piccole e medie industrie. Il presidente di Confapi nazionale Cristian Camisa: «L’azienda è scomparsa dal mercato, apriamo ad acciaierie extracomunitarie». Il presidente di Confapi Padova Carlo Valerio: «L’unico possibile rilancio passa dalla sostenibilità».

 

Centinaia di operai, esponenti sindacali e imprenditori lunedì 29 gennaio hanno partecipato a una manifestazione unitaria a Taranto per sollecitare il governo ad adottare iniziative urgenti per scongiurare la chiusura dell’ex Ilva. Poco dopo le 8.15 è partito un corteo per attraversare il perimetro esterno della fabbrica. All’iniziativa, promossa da Fim, Fiom, Uilm e Usb, hanno aderito l’Ugl Metalmeccanici, altri sindacati di categoria e le associazioni Confapi, Aigi e Casartigiani.

La fase di stallo in cui sembra essersi arenata la vertenza dell’ex Ilva di Taranto preoccupa non solo i sindacati dei lavoratori, ma anche le piccole e medie industrie che gravitano intorno all’orbita della fabbrica dell’acciaio. L’indotto avanza cifre da capogiro da Acciaierie d’Italia per commesse eseguite e fatture mai saldate. Ed è forte la preoccupazione di Confapi, che rappresentare in Italia oltre 40 mila imprese del settore metalmeccanico, per un totale di circa 400 mila dipendenti.

L’INDOTTO

«L’azienda è praticamente scomparsa dal mercato italiano», rimarca il presidente nazionale Cristian Camisa, «con volumi di vendita nel 2023 che sono stati estremamente esigui, non si è arrivati nemmeno a 2,8 milioni di tonnellate. E una situazione estremamente complicata alla quale poi si sono andati ad aggiungere sia lo spegnimento dell’altoforno 5, sia quello 2 e non si intravedono politiche di rilancio per i prossimi mesi. L’azienda sembra non avere un interesse di natura industriale, ma piuttosto di natura commerciale. E si parla davvero troppo poco dell’indotto, che è composto in gran parte da aziende nostre associate. Gli imprenditori stanno vivendo una situazione estremamente complicata e anche se c’è stato un parziale sblocco di alcuni pagamenti che hanno permesso di pagare le tredicesime ai dipendenti, noi rischiamo non solo un danno a livello industriale - perché la seconda potenza manifatturiera europea non può permettersi in un momento come questo di non avere un’acciaieria che parte dal minerale di ferro - ma di fallire con le nostre aziende e perdere così un know-how che ci ha permesso nel corso degli anni di essere un punto straordinario per la competitività del nostro sistema industriale».

LA PROPOSTA  DI CONFAPI: «APRIRE A PLAYER EXTRA EUROPEI»

Ed ecco allora la proposta del presidente Camisa: «Siamo consci che il governo ha giustamente cercato di garantire l'italianità del polo, ma forse ora è arrivato il momento di lavorare su obiettivi a lungo termine. La nostra proposta è quella di provare ad aprire ad acciaierie extracomunitarie perché noi pensiamo che questa possa essere una soluzione anche in virtù dell’introduzione del "Cbam", il Regolamento europeo sul meccanismo di adeguamento del carbonio alle frontiere per impedire che le merci importate da Paesi extra-Ue godano di indebito vantaggio competitivo. In questa fase storica potrebbe essere interessante per le aziende extra Ue creare un polo anche in Italia e dunque in Europa per andare a bypassare questa tassazione che, da uno studio che abbiamo fatto, avrebbe un'incidenza percentuale attorno al 12% sulla materia prima, quindi estremamente importante. Visto che l'italianità non si riesce a garantire perché in questo momento le altre acciaierie italiane non hanno mostrato quell'interesse necessario e visto che esiste il rischio che si arrivi a uno spezzatino di Ilva con alcuni player che andranno ad acquisire solo le cose interessanti e il conseguente effetto disastroso sull'indotto, io penso che ora la politica industriale debba andare a difendere il mondo della trasformazione. Quindi aprire oggi a player extra europei potrebbe essere una soluzione auspicabile. Ci sono aziende che stanno facendo investimenti estremamente importanti e un polo come quello di Taranto è più che appetibile».

«PUNTIAMO SULL’ACCIAIO VERDE»

La questione ex Ilva tocca in realtà l’intera nazione. Sul tema, il presidente di Confapi Padova Carlo Valerio allarga la prospettiva, ragionando su qual è la situazione delle acciaierie europee e su come nell’attuale situazione si debba ragionare su un rilancio che passi dalla sostenibilità. «Nell’ambito del sistema di scambio di quote di emissioni, attualmente le acciaierie dell’UE ricevono gratuitamente l’80% delle loro quote di emissioni di CO2 per rimanere competitive rispetto ai produttori più inquinanti di Cina e India. Nei prossimi dieci anni, però, l’UE eliminerà gradualmente questi incentivi e li sostituirà con una tariffa sulle importazioni di prodotti sporchi», rimarca Valerio. «Se le acciaierie dell’UE rimarranno grigie, calcola Morgan Stanley, i loro profitti potrebbero diminuire fino al 70%. Ecco perché le aziende siderurgiche europee stanno studiando come aggiornare i loro impianti. Oltre a Salzgitter e Thyssenkrupp, un’altra azienda tedesca, Stahl-Holding-Saar, vuole rendere verdi alcune delle sue acciaierie. ArcelorMittal, la seconda azienda siderurgica al mondo, con sede in Lussemburgo, ha in programma sette progetti di questo tipo, soprattutto in Europa. Almeno quattro nuove acciaierie – H2 Green Steel, Hybrit, un’altra azienda svedese, GravitHy, francese, e Blastr, norvegese – vogliono dare filo da torcere agli operatori storici».

La riflessione del presidente Valerio si lega alla Legge europea sul clima, che innalza l'obiettivo di ridurre le emissioni nette di gas serra del 30-35% entro il 2030 e rende giuridicamente vincolante la neutralità climatica (100%) entro il 2050. Ed è nella logica di questa direttiva che gli investimenti e i tempi per la riconversione di Acciaierie d’Italia (ex ILVA) diverrebbero coerenti.

«La Energy Transitions Commission, un think tank, ha recentemente identificato 28 progetti di acciaio verde a livello globale. La maggior parte di essi, come quello di Salzgitter, prevede lo smantellamento di vecchi forni e la loro sostituzione con nuovi per la produzione di “ferro a riduzione diretta” utilizzando l’idrogeno. Insieme, produrrebbero 60 milioni di tonnellate di acciaio verde all’anno. Sebbene non ci sia nulla da storcere il naso, si tratta di una quantità di gran lunga inferiore alle 190 milioni di tonnellate all’anno necessarie entro il 2030 perché l’industria siderurgica europea sia sulla buona strada per raggiungere le emissioni nette zero entro la metà del secolo, e una goccia nel mare rispetto ai quasi 2 miliardi di tonnellate prodotti ogni anno nel mondo», sottolinea Valerio. «Per far decollare altre iniziative di questo tipo è necessario superare una serie di ostacoli. La sostituzione dei vecchi altiforni con impianti più puliti è la parte più semplice. Ma, nel momento in cui si ragiona sul futuro dell’ex Ilva, a nostro avviso è evidente che qualsiasi proposta debba imboccare questa direzione. La trasformazione richiede alle aziende di trovare investitori, di placare le autorità di regolamentazione e di assicurarsi energia e risorse sufficienti. Devono inoltre attrarre un numero sufficiente di lavoratori qualificati per le loro acciaierie e, cosa fondamentale, un numero sufficiente di acquirenti disposti a comprare i loro prodotti. Ma questa è l’unica strada realmente percorribile per un vero rilancia della struttura che consenta di restare al passo».

 

Diego Zilio

Ufficio Stampa Confapi Padova

stampa@confapi.padova.it

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