Quello femminile risulta un segmento produttivo poco “industrializzato” e fortemente orientato ai servizi. Dati che testimoniano che tanta strada è stata fatta per ridurre il gender gap, ma che molta resta da fare, attraverso politiche attive, educazione finanziaria, formazione, cultura di impresa e finanziamenti.
E qualche numero, di fonte camerale, rende più chiaro il quadro generale. Oggi le imprese femminili attive in provincia di Padova sfiorano le 18 mila unità, pari a poco meno del 21% del totale, mentre in Veneto sono circa 94 mila, quinta regione in Italia per numerosità, dopo Lombardia, Campania, Lazio e Sicilia. Un dato sostanzialmente stabile negli ultimi anni, anche se caratterizzato dal segno “-”, con una leggera diminuzione rispetto al 2023 e al 2022, legata anche alla contrazione generale dell’economia.
Significativo notare come nel 2024 le società di capitale a guida femminile siano in crescita, con un aumento del 2,3% su base annua, mentre si registra una riduzione delle imprese individuali (-1,1%) e delle società di persone (-2,4%), statistiche che lasciano ipotizzare come le imprenditrici si stiano dirigendo verso forme societarie più strutturate, il che denota una maggiore professionalizzazione.
In generale, occorre però sottolineare che quello femminile risulta un segmento produttivo poco “industrializzato” e fortemente orientato ai servizi. I settori a maggior presenza femminile sono quelli del commercio (25%), dei servizi alla persona (20,7%) e dell’agricoltura (14,6%). Nell’industria le imprese femminili padovane sono circa 1.800, pari al 9,7% del totale delle imprese “rosa”, un dato migliore rispetto a quello Veneto (circa 8.700 le imprese femminili, pari al 9,4%) e a quello nazionale (7,5%), ma comunque inferiore rispetto agli altri settori citati.
Più consistente la componente femminile nelle libere professioni, che vedono le donne rappresentare il 30,5% degli iscritti agli ordini. In particolare, tra consulenti del lavoro e avvocati la quota femminile supera la metà del totale (52%). La sotto-rappresentazione presente nel mondo industriale si riscontra peraltro anche nelle libere professioni in settori più tecnici, a denotare una minore propensione verso le cosiddette materie STEM (acronimo che sta per science, technology, engineering and mathematics) già nel momento in cui viene pianificato il proprio percorso di studi. Per le aree più tecniche, infatti, la presenza femminile è meno consistente, raggiungendo casi limite tra i periti agrari (4,5%), i geometri (13%) e gli ingegneri (14%).
Numeri che testimoniano che tanta strada è stata fatta per ridurre il gender gap, ma che molta resta ancora da fare, attraverso politiche attive, educazione finanziaria, stereotipi e formazione, cultura di impresa e finanziamenti.
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