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«IL PASSAGGIO GENERAZIONALE? VA PREPARATO PER TEMPO. E NON DATE PER SCONTATA LA CONTINUITà IN FAMIGLIA»

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Tavola rotonda con il presidente U.CI.I.D. Padova Flavio Zelco, il professor Alberto Lanzavecchia, l’avvocato Giuseppe Ponzi e Stefano Pozzi (HR) al Master Confapi - Federmanager


L’azienda? Quando sarà il momento di lasciarla, andrà affidata a chi possa assicurare di essere in grado di non distruggerla. E non è detto che siano i figli. Può sembra una battuta, non lo è. Perché, come è emerso nel corso della tavola rotonda “Passaggio generazionale e tutela del patrimonio”, ospitata dal Chiostro di Monteortone nel corso del Master Confapi - Federmanager, il passaggio va, appunto, preparato per tempo. Ecco alcuni dei passaggi salienti della discussione, che è stata moderata da Flavio Zelco, presidente U.C.I.D. Padova, e che ha visto gli interventi del professor Alberto Lanzavecchia, del notaio Giuseppe Ponzi e del dottor Stefano Pozzi, esperto di organizzazione aziendale e risorse umane.

Ad aprire i lavori, il professor Alberto Lanzavecchia, docente di “Finanza aziendale e finanza strategica” all’Università degli studi di Padova. «Parliamo di “passaggio generazionale” e già usando questa espressione quasi diamo per scontato che l’impresa passi di padre in figlio. È già un inizio sbagliato, perché non è detto che le qualità del padre siano state trasmesse ai figli. E la vera domanda chiave è: qual è il modo per assicurare la continuità d’impresa ed evitare che quanto è stato creato vada distrutto? Dare per scontato che avvenga per forza di cose attraverso i figli significa, al 50%, sbagliare risposta. E poi, nel caso: quand’è il momento giusto per affidare l’azienda al figlio? Rispondo con un’altra domanda: qual è l’età esatta in cui un figlio si stacca dalla famiglia? A 18 anni? A 25? A 40? Il “quando” è, semplicemente, quando è il momento giusto. Quando, se gli stai insegnando ad andare in biciletta, accompagnandolo di caduta in caduta finché non ci sarà più bisogno di farlo, dimostrerà di essere in grado di correrci da solo senza l’ausilio delle rotelle. Ma, lo ribadisco, non è detto che sia il figlio la persona in grado di non distruggerla: una volta individuata la persona che riteniamo possa un giorno dare una continuità all’azienda insegniamole fin da subito - ovvero senza aspettare di essere vecchi - ciò che deve sapere. C’è poi un ulteriore aspetto da considerare: siamo abituati a pensare all’imprenditore vecchio stile, che accentra su di sé varie figure: quello che segue il prodotto, quello che segue le vendite, quello che segue gli aspetti finanziari e via di questo passo. Ma l’imprenditore che “fa tutto” è una figura che non è più adatta a questo tempo: le imprese, oggi, si affidano a squadre. Sono loro la ricchezza dalle aziende. Morto Steve Jobs, alla guida di Apple l’ha sostituito un team, e l’azienda non solo è sopravvissuta ma ha continuato a crescere. Per tornare alla domanda di partenza, allora, il “quando” è quando si è trovato la squadra a cui affidarsi».

Ecco invece un sunto del contributo di Stefano Pozzi, esperto di organizzazione aziendale e risorse umane: «Quando pensiamo al passaggio generazionale pensiamo a qualcosa che avviene a bocce ferme: un padre che lascio al figlio o alla figlia l’azienda. Non è così semplice, perché il mondo circostante è in forte movimento, e questo aumenta la complessità della questione. Per spiegarmi voglio ricorrere a una metafora un po’ forzata ma a mio avviso esemplificativa: quando la regina Elisabetta lascerà il trono in Inghilterra, chi pensate possa succederle nella famiglia Windsor? Se formulate questa domanda a un po’ di persone, la maggior parte risponderà in modo abbastanza sicuro: William, e non indicherà il principe Carlo. E risponderà così perché Carlo, quando il passaggio avverrà, non avrà probabilmente più le energie per stare al passo con il suo tempo. Ma vedete bene che, un’affermazione del genere, presuppone un salto generazionale che oltrepassa quella che è la naturale linea di successione. È una metafora semplice, questa, ma rende l’idea degli aspetti da considerare. Spesso sottovalutiamo il passaggio generazione perché ne facciamo una semplice questione tecnica, e invece non è così, perché occorre saper costruire un modello di successo. Poche volte la successione si verifica attraverso un passaggio graduale assistito, molto più spesso, se vogliamo rifarci a una metafora sportiva del mondo dell’atletica leggera, si attua il semplice “passaggio del testimone”. Ed è qui che si verifica l’errore, perché, alla prova dei fatti, nel passaggio di consegne non ci si scambia soltanto il testimone, ma spesso ci si trova a dover cambiare del tutto sport, dato che da una generazione all’altra muta totalmente il contesto in cui l’azienda opera. Il tema non è la continuità, ma il suo opposto: la discontinuità. Teniamolo presente: il passaggio non avviene mai in condizioni stabili, ma in un tempo che cambia».

Il notaio Giuseppe Ponzi ha quindi affrontato alcuni aspetti tecnici della questione: «Quando preparare questo passaggio? In vita o in morte è la prima scelta da fare. Occorre avere le idee chiare: individuare la persona a cui affidare il proprio patrimonio e la propria azienda e considerare il rapporto di sangue, specificatamente individuato dalla nostra legislazione che stabilisce che una quota obbligatoriamente vada ai parenti più prossimi, la cosiddetta “legittima”. A quel punto occorre prestare attenzione divisione del patrimonio considerando il peso degli immobili e quanto pesa il fatturato. Dopodiché gli ingredienti della ricetta per una buona riuscita del “passaggio generazionale” sono sempre gli stessi, ma si possono combinare in vari modi. La trasmissione generazionale, guidata, lenta, non brusca, può consentire al giovane imprenditore di acquisire quelle esperienze che sono necessarie, ma, allo stesso tempo, consente anche all’imprenditore che deve lasciare di valutare, ad esempio, quale fra i suoi figli è più adatto a prendere in mano le redini dell’azienda. L’imprenditore, nel momento in cui deve dividere il suo patrimonio fra gli eredi, è di fronte a un bivio. È chiamato, cioè, a trovare una soluzione che consenta di continuare l’attività con la sua stessa capacità e solerzia. Non c’è una ricetta valida per tutte le situazioni o, meglio, c’è una ricetta valida caso per caso. Ma, per arrivarci occorre aver ben presenti quali sono le strade percorribili. E poi non dimentichiamoci che siamo in Europa e occorre tenere conto al cambiamento di orizzonti per le aziende delocalizzate: non si parla più di cittadinanza ma di “residenza abituale”. In alcuni Stati non esiste ad esempio il concetto di “legittima”, per cui ognuno è libero di lasciare il proprio patrimonio a chi vuole. E la scelta della residenza non è solo una questione anagrafica, perché l’imprenditore può trovarsi a scegliere la legge regolatrice per la propria successione. Sono tanti gli aspetti da considerare, ecco perché dico che gli ingredienti sono comuni, ma possono essere combinati in modi differenti».

Diego Zilio
Ufficio Stampa Confapi Padova
stampa@confapi.padova.it

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