Intervista al dott. De Nuzzo, medico del lavoro. «Il Green pass ha “convertito” tanti no-vax, ma la tensione sociale è alta»
«Il concetto è questo: c’è o no l’obbligatorietà delle scarpe antiinfortunistiche e dell’elmetto in certe professioni? Sì c’è. E cosa cambia rispetto al vaccino? Se non sei vaccinato non solo sei in pericolo tu, ma metti tutti gli altri in pericolo». Il dottor Davide De Nuzzo, Medico del lavoro, esprime il suo punto di vista sulla questione vaccini in modo chiaro. Con lui abbiamo fatto il punto sulla situazione delle aziende del territorio dopo l’introduzione del Green pass.
Dottor De Nuzzo, com’è cambiata la vita nelle aziende da quando è stato introdotto il certificato verde?
«Nelle prime settimane dopo l’obbligo di Green pass, introdotto lo scorso 15 ottobre, erano veramente in tanti a fare la fila per i tamponi. Tenete presente che il prezzo calmierato a 15 euro non va bene a nessuno: né a noi operatori, che non abbiamo alcun guadagno, né a chi deve sottoporsi a tre tamponi a settimana e si trova a versare un totale di 45 euro, col risultato che a fine mese si riduce a lasciare così una parte cospicua dello stipendio. Nell’arco di questi due mesi e mezzo la restrizione, unita all’importanza della spesa da affrontare, ha funzionato, spingendo gli scettici a vaccinarsi, anche se rimane chi non lo farà mai».
Le aziende come si sono comportate?
«Si sono scontrate sull’incertezza sul controllo dei propri lavoratori. Certo, c’era la figura del Covid manager che doveva gestire i potenziali contagi, ma quando hanno cominciato ad aumentare i controlli non era più possibile svolgere il ruolo come prima, senza considerare la questione della privacy, che, vuoi o non vuoi, non è secondaria. Gradualmente, attraverso il buon senso, e con coinvolgimenti di medici competenti e Rspp, si è arrivati a una quadra, anche grazie alla svolta dello scorso 20 novembre, quando è stata data la possibilità di consegnare al proprio datore di lavoro copia della certificazione verde Covid-19, con conseguente esonero dai controlli per tutta la durata della validità. Al di là di questi aspetti, c’è però quello relativo alla tensione sociale che si è creata in questi mesi».
E i cui strascichi, temiamo, dureranno a lungo.
«Chi non è vaccinato è spesso arrabbiato contro il sistema. Noi abbiamo anche avuto una nostra dottoressa aggredita fisicamente, senza considerare le aggressioni verbali, che sono quotidiane. Spesso chi sta fuori in fila ad attendere il tampone è già di suo contrariato e la sua rabbia si alimenta sentendo gli altri che condividono le sue stesse posizioni. Devo dire che gradualmente si è smussata questa tensione, che comunque persiste. In parte, se si è attutita, è anche grazie ai media, che hanno iniziato a sottolineare sempre più come in terapia intensiva e fra i morti ci siano soprattutto non vaccinati. E poi, appunto, c’è la leva economica, per cui la spesa per sostenere i tamponi continui comincia a pesare, anche sulle stesse convinzioni degli interessati».
Siete riusciti a stimare quanti si sono “convertiti” dopo l’introduzione del Green pass?
«Attualmente i non vaccinati sono il 18% della popolazione italiana. In questa percentuale è inserito però anche chi ha meno di 11 anni e ancora non può vaccinarsi: se togliamo questa fetta della popolazione dal conto si resta comunque su una quota del 12%. I “convertiti”, se vogliamo definirli così, sono tanti: prima del 15 ottobre la popolazione vaccinata era pari al 65%, ora siamo all’82%. Ma per esperienza diretta posso dirvi che sul dato pesa molto il tipo di lavoro che svolgi: nel settore privato, ad esempio, il numero dei vaccinati è molto più alto rispetto a quello pubblico. Nelle maggior parte delle aziende che seguo i non vaccinati non sono più del 6-7%. Tra i liberi professionisti, in particolare, i non vaccinati sono davvero pochi, perché è altissimo sia il rischio di perdere giorni di lavoro, sia di risultare “untore”, nel caso un positivo contagiasse un cliente, con un conseguente danno, anche a livello di immagine, molto rilevante».
Il Super Green pass sarà un nuovo stimolo alla campagna vaccinale?
«Dovremo aspettare i prossimi gironi per tracciare un bilancio. Faccio notare che dal punto di vista lavorativo sostanzialmente per le aziende non cambia nulla rispetto a prima, però vengono colpite tutte quelle attività che potremmo dire sono legate all’ozio. Di fatto, si stringe ulteriormente il cerchio».
Si arriverà all’obbligo di vaccinazione, secondo lei?
«Secondo me sì, ma lo pensavo già da prima. Non possiamo restare in scacco ogni volta, da medico del lavoro penso anche alla produzione e non solo alla tutela dei lavoratori: possiamo sul serio ipotizzare che ogni volta che un lavoratore non si vuole vaccinare si blocchi tutto? Il concetto è questo: c’è o no l’obbligatorietà delle scarpe antiinfortunistiche e dell’elmetto in certe professioni? Sì c’è. E cosa cambia rispetto al vaccino? Se non sei vaccinato non solo sei in pericolo tu, ma metti tutti gli altri in pericolo. È come se autorizzassi un conducente a guidare sotto l’effetto di droghe. Se ragionassimo così, avremmo ancora la poliomielite, che, tenete presente, è stata debellata attraverso i vaccini, non attraverso una cura. La rivorreste indietro?».
Il suo studio come si è comportato per venire incontro alle esigenze delle imprese?
«Attraverso tre tipi di risposte. Se un’azienda, con pochi dipendenti e vicina al nostro studio, ha bisogno di tamponi può venire a farli il lunedì, il mercoledì e il venerdì da noi. Una seconda soluzione è quella adottata dal Mercato Agroalimentare di Padova, che ha aperto un punto tamponi a orari comodi per chi lavora lì, tramite prenotazione, e che è aperto anche alle imprese della Zona industriale. Una terza risposta è legata alle grandi aziende che, avendo un numero elevato di lavoratori, possono permettersi un punto tamponi interno alla sede. Quello che abbiamo notato è che in questo mese e mezzo il numero delle persone che si sottopone al tampone è comunque diminuito».
Diego Zilio
Ufficio Stampa Confapi Padova