La drammatica testimonianza di un imprenditore (che preferisce rimanere anonimo) rientrato in Italia da pochi giorni
«Sono scappato in mezzo ai tank, a bordo della mia auto. Non sa quante volte ho cambiato strada perché sentivo sparare. Alla fine, per rientrare in Italia ho percorso 3.300 chilometri invece dei 1.700 che avrei dovuto fare. Ho guidato per 48 ore consecutive, seguendo strade secondarie, spesso non potendo superare gli 8 chilometri all’ora perché le buche per terra erano enormi e rischiavo di scassare la macchina. Per fortuna conoscevo abbastanza bene le zone e, quando non le conoscevo, sono stato aiutato dalla gente del posto a orientarmi. Ma è vera guerra, e ho avuto paura. Ho visto tre ponti saltare poco dopo il mio passaggio».
È la drammatica testimonianza di un imprenditore che preferisce rimanere anonimo («per limitare l’ipotesi di possibili ritorsioni future, non sapendo nemmeno se riapriremo la nostra sede e, in quel caso, quale governo ci sarà e se le fabbriche stesse saranno nazionalizzate»), fuggito dall’Ucraina settentrionale.
I sentori che qualcosa di tremendo stesse per accadere c’erano già da un po’. «Non avevo mai visto tanti carri armati come nei giorni precedenti all’invasione», racconta l’imprenditore. «Avevamo la convinzione che sì, un’invasione ci sarebbe stata, ma che avrebbe coinvolto soltanto la parte meridionale dell’Ucraina, limitandosi alle aree di Donetsk e di Lugansk. Non potevamo immaginare che si spingesse così oltre. Mi auguro che il progetto di Putin sia quello di rimettere Yanukovich come presidente, vorrebbe dire che l’Ucraina manterrà una sua identità e sarà smilitarizzata, ma il numero enorme di carri armati che ho visto passare fa pensare a qualcosa di più ampio e le cartine che girano tra i militari e che sono diventate anche di dominio pubblico fanno paura, perché il timore è appunto che Putin si voglia riprendere tutti i territori dei Paesi non Nato, sempre che non ci siano altri accordi internazionali. Ma queste sono supposizioni. Però tenete presente che il Donbass già da otto anni era area di combattimenti, anche se ognuno rimaneva nelle sue posizioni. I colpi di mortaio erano continui. La stampa europea si era dimenticata di quella guerra, mentre, per contro, la stampa russa enfatizza i suoi morti».
L’aspetto umanitario si intreccia con quello economico. «Avevamo operai che lavoravano con noi che ora stanno combattendo, ma attenzione: stiamo parlando del primo esercito del mondo, quello russo, contro gente che spara al massimo con i fucili da caccia e che sta facendo guerriglia più che guerra, con comportamenti anche eroici. Però mi chiedo se anche l’Ucraina non abbia tirato troppo la corda: avrebbe potuto accettare l’indipendenza del Donbass e forse non sarebbe stata una catastrofe. Per quanto ci riguarda, le perdite economiche per l’azienda sono enormi, probabilmente abbiamo perso tutto. Se persisteranno le sanzioni, un domani la Russia potrebbe anche pensare di nazionalizzare le fabbriche».
Le parole dipingono scene che, in Europa, si credeva che non si dovessero più vivere. «La gente già dai giorni precedenti assaltava supermercati, che ora sono vuoti, e ritirava i soldi dalle banche. Le pompe di benzina sono quasi tutte esaurite dal primo giorno di guerra, io sono sopravvissuto in quei due giorni di viaggio mangiando le brioches dei distributori, nelle stazioni di benzina, quando ne trovavo uno che avesse ancora carburante. Per quanto mi riguarda io non sono partito subito perché ho aspettato di capire se la Russia avrebbe attaccato utilizzando l’aviazione: in quel caso sarebbe stato inutile mettersi in auto, perché sarebbero andati a colpire chiunque fosse per strada».
Ai carri armati e ai colpi di mitragliatrice si aggiunge la delinquenza comune. «Ai posti di blocco c’era chi provava a derubarti, perché in questi casi escono anche i banditi, ad aggiungere paura su paura. Alla frontiera con la Moldavia ero uno dei primi ma gli stessi doganieri smontavano le macchine per cercare di derubarti, consapevoli che chi stava scappando probabilmente si era portato con sé un po’ di soldi. Solo una volta oltrepassata la frontiera romena mi sono sentito più tranquillo».
Diego Zilio
Ufficio Stampa Confapi Padova