Quanto accaduto in Emilia Romagna riporta d’attualità il tema anche in Veneto dove, secondo i dati dell’Ispra, il 9% della popolazione abita in un territorio a rischio alluvioni. Abbiamo intervistato il professor Luigi D’Alpaos, massimo esperto sul tema: «I bacini di laminazione sono importanti ma non bastano, Padova rischia».
In un Paese che ha la cattiva abitudine di preoccuparsi dei problemi solo quando diventano emergenze, è inevitabile interrogarsi, oggi, sui rischi idrogeologici che corre il Veneto. Negli occhi quanto accaduto in Emilia-Romagna, ma anche la mappa elaborata dall’Ispra – l’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale, che fa capo al Ministro dell’ambiente e della sicurezza energetica – che evidenzia come oltre mezzo milione di veneti abiti in un territorio a rischio alluvioni: pericolo condiviso dal 9% degli abitanti (quasi il doppio della media italiana), dall’8% degli edifici, dal 9% delle imprese e dal 20% dei beni culturali. Ne abbiamo parlato con Luigi D’Alpaos, professore emerito di Idraulica dell’Università di Padova, massimo esperto italiano di idraulica, che studia questi temi da oltre mezzo secolo.
Professore, molto è stato fatto dall’alluvione del 2010 a oggi: dei previsti 23 bacini di laminazione in Veneto - le cosiddette casse di espansione - quattro sono già collaudati (Timonchio-Caldogno, Trissino a monte, Colombaretta, Borniola), altri quattro sono operativi anche se mancano delle “finiture” (Muson dei Sassi, Viale Diaz a Vicenza, Trissino a valle, Orolo), mentre sta per partire l’ampliamento del bacino di Montebello, l’unico preesistente (è del 1926).
«Gli invasi a uso piena sono sicuramente importanti per i fiumi più grossi del Veneto come Brenta, Piave, Livenza e Tagliamento, che hanno la necessità di interventi dovendo evitare esondazioni in pianura. Ma resta il tema dell’Idrovia. Sono state svolte operazioni importanti sul bacino del Bacchiglione e per quei fiumi tra Vicenza e Verona che hanno avuto problemi con l’alluvione del 2010, ma resta il fatto che se non si completa il piano previsto non possiamo dirci in una situazione di ragionevole sicurezza».
Nello specifico, quali sono gli interventi prioritari per la messa in sicurezza nel territorio padovano?
«Occorrerebbe intervenire sull’Astico, che da solo è in grado di sommergere Padova, e poi sul nodo idraulico di Voltabarozzo, dove l’idrovia potrebbe ridare quella flessibilità di manovra che teoricamente doveva avere in origine e sicuramente ora non ha. Tenete presente che da Voltabarozo non si può decidere di inviare portate d’acqua consistenti in arrivo sul canale Scaricatore verso il Brenta, perché il Brenta stesso rischia di essere già “impiccato”. Ecco, l’idrovia consentirebbe di togliere 250 metri cubi al secondo che possono essere ripartiti fra Bacchiglione e Brenta o tolti tutti dal Brenta».
Se ne parla dagli anni ’70, senza che ci siano stati sostanziali passi avanti: ha perso la speranza di vederla realizzata, professore?
«Ho un’età tale per cui anche se la speranza c’è, non è detto che faccia in tempo a vedere i progetti portati a termine. Ma il fatto è che molti parlano senza avere conoscenza dei problemi e dell’efficacia delle possibili soluzioni, e senza l’umiltà di ascoltare. E io da anni ormai ripeto le stesse cose. Se non si vuole portare avanti l’idrovia Padova-Venezia, beh, che venga detto chiaramente. Ma mi chiedo perché siano stati buttati via i soldi del progetto preliminare. C’era l’opportunità di includere il progetto nel PNRR e ricevere finanziamenti di livello europeo e invece non è stato inserito. Eppure del sistema idroviario padano si parla sin da quando ero io a essere studente. Un’altra cosa c’è da aggiungere: la questione del rischio idrogeologico non è la sola da considerare».
Perché l’idrovia sarebbe utilizzabile anche nel trasporto merci.
«Appunto. C’è l’aspetto di difesa dalle piene, c’è l’aspetto ambientale, ma c’è anche quello legato alla navigazione da diporto, checché ne dicano i sedicenti esperti che sostengano che non sarebbe utile. Io penso che potrebbe avere successo come via d’acqua, perché in laguna di Venezia il porto è destinato a essere per forze di cose esterno. E un porto esterno potrebbe far attraccare qualsiasi nave, che poi potrebbe venire a Padova attraverso un’idrovia della quinta classe di navigazione (che consentirebbe passaggi di navi lunghe da 95 a 185 metri e in grado di trasportare fino a 3.000 tonnellate di merci, ndr). E da Padova si potrebbe raggiungere qualsiasi porto del Mediterraneo attraverso battelli fluvio-marittimi».
Scarica la mappa: Aree a pericolosità idraulica media P2 (D.Lgs. 49/2010); Fonte: Rapporto ISPRA, 356/2021
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Diego Zilio
Ufficio Stampa Confapi Padova