L’atteso via libera alla riforma per l'autonomia differenziata è arrivato dal Senato: ma cosa succede adesso e cosa cambia per il Veneto e per il Paese? Ne abbiamo parlato col professor Mario Bertolissi, costituzionalista di fama, membro della Commissione tecnica sui Lep. «Le risorse in ballo sono sempre le stesse solo che ora lo Stato cede alcune funzioni e i fondi che servono direttamente alla regione. Chi parla della questione meridionale e di Italia a due velocità, non tocca mai un tema: la qualità di chi amministra».
È un fiume in piena, il professor Mario Bertolissi. Perché l’autonomia differenziata è il suo pane, «e in questi mesi il dibattito pubblico è stato caratterizzato da dichiarazioni assurde, occorre fare chiarezza». Costituzionalista - già Ordinario di Diritto costituzionale all’Università degli Studi di Padova, nonché membro sia della Commissione tecnica sui Lep presieduta da Sabino Cassese (62 i componenti, tra i quali quattro veneti, con lui anche Andrea Giovanardi, Marco Stradiotto e Ludovico Mazzarolli) sia della Commissione trattante per il Veneto -, è l’uomo più indicato per fare il punto sulla questione dopo che il Ddl Calderoli ha avuto il sì del Senato.
Professore, uno dei suoi numerosi libri si intitola significativamente “Autonomia. Ragioni e prospettive di una riforma necessaria”. Ci spiega perché è necessaria?
«Prima occorre fare un passo indietro, partendo dall'inizio. Il Veneto ha cominciato questa battaglia a partire dagli anni Novanta dello scorso secolo in modo da aumentare le proprie competenze. È trascorso un quarto di secolo prima di arrivare al referendum consultivo che l’ha votata. Perché l’ha richiesta? Dietro ci sono delle ragioni oggettive che toccano, tra l’altro, proprio gli imprenditori: abbiamo una trentina di comuni che, se passano sotto le limitrofe regioni a statuto speciale - ovvero il Trentino Alto Adige e il Friuli Venezia Giulia -, come ha già avuto modo di fare Sappada, possono giovarsi di misure di sostegno che rimanendo in Veneto non hanno. Si trovano, cioè, in una situazione discriminante nei loro confronti. Mi seguite?».
Sì.
«Da qui la richiesta di diventare una regione a statuto speciale e poi di avvalersi della riforma introdotta nel 2001 in Costituzione. Ribadisco, nel 2001, non l’altro ieri. Solo dopo l’ottimo lavoro della ministra Erika Stefani e, oggi, del ministro Roberto Calderoli, si è passati dal parlare al fare. Aderendo alla linea maturata nei precedenti governi, Calderoli si è adoperato per mettere a punto la legge quadro - che pure non era prevista dalla costituzione - per arrivare a dove siamo oggi. Subito è entrato in gioco il tema dei Lep, i Livelli essenziali delle prestazioni da garantire a tutte le regioni. Ecco allora che, da metà giugno 2023, abbiamo cominciato a lavorarci con la Commissione Cassese, consegnando quanto elaborato entro ottobre, come previsto, dopo aver lavorato anche ad agosto, gratuitamente. Gli atti sono così stati trasmessi alla Commissione che individuerà le risorse per realizzare l’autonomia differenziata. In altre parole, in pochi mesi abbiamo fatto quello che non si era fatto nei 22 anni precedenti di completa inerzia».
C’è chi dice che ci vorrebbero 100 miliardi di maggior spesa per realizzare l’autonomia differenziata.
«In questo periodo ho letto e sentito dichiarazioni demenziali, come questa. Per realizzarla ci metti i soldi che hai, non quelli che non hai! Il principio è questo: lo Stato ha speso sin qui una certa cifra per erogare determinate prestazioni e determinati servizi. Le risorse in ballo sono sempre le stesse, solo che ora lo Stato cede quelle funzioni, e le risorse che servono per esercitarle, direttamente alla regione. A parità di spesa! Starà alla Regione decidere come spendere quei soldi e, se riuscirà, anche a risparmiare, destinandoli magari proprio alle imprese».
L’ex ministro Bassanini, intervenendo nei giorni scorsi al ciclo di incontri “Segnavie, lo Stato e noi”, nell’aula Nievo dell’Università di Padova, ha dichiarato che «l’alternativa centralismo-autonomia è uno schema del passato», e che «prima di attribuire nuovi compiti e nuove funzioni alle Regioni, separando le risorse, è necessario definire i livelli essenziali delle prestazioni, per essere certi che quei livelli debbano essere finanziabili per tutte le regioni». Cosa ne pensa?
«Vi confesso che ero presente e che ho lasciato la sala prima che terminasse l’incontro per non arrabbiarmi. Perché non se ne è occupato negli anni precedenti? È stato ministro in tre governi e in parlamento per quasi trent’anni, perché non ha affrontato questi temi quando aveva la possibilità di farlo?».
Ma a chi teme che con l’autonomia differenziata aumenteranno le disparità fra regioni ricche e regioni povere, cosa risponde?
«Il punto è che “le Italie” ci sono da sempre. Chi oggi parla di diseguaglianze è stato nelle stanze dei bottoni per anni, senza fare nulla. Sa qual è il vero problema alla base delle disparità che esistono? La classe dirigente. Chi parla della questione meridionale, se nota, non tocca mai un tema: la qualità di chi amministra. La differenza la fanno le persone. Dice niente l’incapacità di utilizzare i fondi messi a disposizione dall’Unione Europea? Pensate a come Roma si avvalga dei benefici finanziari introdotti da quando è stata istituita la città metropolitana di Roma capitale: è forse cambiato qualcosa da quando se ne giova? Aveva debiti ingenti prima e li ha ora, era sporca e gestita male prima e lo è adesso. Non è il Veneto che vuole la secessione, come sento dire da qualcuno, è Roma che si è separata dal resto del Paese. O pensate al fenomeno del turismo sanitario che esiste da anni, non da ora. E dicono niente le condizioni in cui versa la sanità della Calabria e non solo, dopo ripetuti commissariamenti e un diffuso turismo passivo verso altre Regioni?».
Nel Ddl Calderoli è scomparso il riferimento al residuo fiscale, ovvero il saldo tra le entrate che da un territorio affluiscono all’operatore pubblico e le risorse che a quel territorio vengono restituite sotto forma di servizi. Professore, non c’è il rischio che questa sia una riforma annacquata?
«Il residuo fiscale è stato accantonato per evitare che venissero innalzate barricate. C’è un dato incontestabile alla base: ci sono aree più produttive e altre meno, ma chi lo contesta di questo non vuole sentir parlare. Io però non parlerei di riforma annacquata: in politica occorre fare di necessità virtù ed essere pragmatici, solo alla fine potremo giudicarla. Il problema sapete qual è? Questo: il Paese è zavorrato da mille rendite di posizione, tant’è che persino il Vaticano si è messo a criticare il Ddl. Ma dico io, preoccupatevi di teologia, non di ciò che non conoscete! Casomai occorreva preoccuparsi già negli scorsi decenni del divario già presente fra Nord, Centro e Sud, di cui parlava con evidenza Draghi nella sua relazione da Governatore di Bankitalia nel 2008. Vedete bene che il dibattito è reso confuso. E sapete chi ha interesse a renderlo confuso? I percettori di rendite: è nel Sud che bisognerebbe portare sul serio il dibattito».
Professore, se dovessimo riassumere il principio autonomistico in una frase, quale sarebbe?
«Lasciar fare a chi sa fare quello che è in grado di fare. È questo il principio, che risponde alla domanda iniziale sul perché questa sia una riforma necessaria. E lo è proprio volendo tener conto dell’enorme debito pubblico che attanaglia il Paese dopo decenni di cattiva amministrazione. Ovviamente, una volta ottenuta l’autonomia differenziata, chi governerà il Veneto dovrà dimostrarsi bravo e meritarsi questa fiducia. Ma, per favore, eleviamo il tono rispetto al livello bassissimo che sta caratterizzando il dibattito pubblico. E, in questo senso, il sostegno delle imprese e delle Associazioni di categoria come Confapi è fondamentale. Aiutateci anche voi».
Diego Zilio
Ufficio Stampa Confapi Padova