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LE IMPRESE NON TROVANO MANODOPERA, BARONE: «FAVORIRE NATALITÀ E BUONA IMMIGRAZIONE. GLI ITS? NE SERVONO 10 VOLTE DI PIÙ»

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Intervista esclusiva al direttore di Veneto Lavoro, l’Ente regionale a cui sono attribuite le funzioni di direzione, coordinamento operativo e monitoraggio della rete pubblica dei servizi per il lavoro. «Le aziende non trovano un lavoratore su due, ma il missmatching tra domanda e offerta è un fattore ormai strutturale nelle economie competitive come quella veneta. I margini di intervento ci sono e riguardano sia le politiche demografiche sia le competenze».

 

Direttore, sempre più imprenditori segnalano la difficoltà nel trovare manodopera, pressoché a tutti i livelli, sia per ruoli ad alta professionalizzazione, sia per mansioni più generiche. Il tutto in un contesto come quello Veneto, sostanzialmente di piena occupazione. Padova, in questo senso, non si discosta dal quadro generale, con il 52,5% delle aziende del territorio che segnala difficoltà nel reperire le figure professionali di cui ha bisogno nel trimestre febbraio-aprile 2023. Dal suo osservatorio privilegiato come inquadra la situazione?

«Intanto dobbiamo premettere che il missmatching tra domanda e offerta di lavoro è un elemento strutturale in tutte le regioni competitive, in Italia e in Europa» risponde il direttore di Veneto Lavoro Tiziano Barone, «ed è legato al fatto che il mercato del lavoro si è polarizzato tra alte e basse qualifiche, per cui a crescere maggiormente sono le professioni a elevata specializzazione (e remunerazione) e quelle a bassa qualifica, poco pagate, a discapito delle professioni intermedie, che a partire dal 2008 hanno registrato un continuo declino. Dopodiché occorre dire che le difficoltà nel reperire manodopera sono legate soprattutto a due fattori. In primis c’è quello demografico, vale a dire che le persone mancano per una mera questione numerica: per intenderci, in Veneto, nel 2030, la popolazione in età lavorativa diminuirà di 150 mila persone rispetto a oggi. Se mancano le persone, per forza la tua impresa non trova facilmente quelle che le servono. Il secondo punto è legato alle competenze, e il dato che citavate è abbastanza stabilizzato, come attestano, nel tempo, le indagini Excelsior: su 100 figure che servono, in media la metà è di difficile reperimento; di quei 50, 25 non ci sono per le ragioni demografiche a cui accennavo prima e altri 25 perché mancano, appunto, le competenze. Ne consegue che il primo punto da affrontare riguarda interventi che influiscano sulla propensione delle famiglie a fare figli, e sui flussi migratori».

Prima di procedere soffermiamoci su questo aspetto: è possibile ipotizzare l’introduzione di incentivi che facilitino lo spostamento dei lavoratori verso i posti in cui più c’è bisogno di loro?

«Le immigrazioni sono regalate da norme statali, di prassi negoziate tra regioni e Stato e legate ad accordi con i Paesi di provenienza. Sono i singoli Stati membri della Comunità Europea e gestire le politiche dei flussi. Il punto è riuscire a combinare misure a favore della natalità, come ad esempio ha saputo fare la Francia, ad altre che favoriscano la “buona immigrazione”, cioè quella basata su ragioni economiche. E da questo punto di vista c’è indubbiamente molta strada da fare».

Di recente il Prefetto Grassi ha chiamato a raccolta le associazioni di categoria, tra cui Confapi, affinché vengano segnalati i profili lavorativi necessari da trovare tra i migranti trasferiti a Padova. Al centro c’è la cosiddetta “seconda accoglienza”, legata ai migranti che hanno già il permesso di soggiorno e per i quali lo Stato s’impegna a finanziare la loro formazione linguistica e professionale. Può essere questa la via?

«È sicuramente una strategia interessante. Ma la partita si gioca, secondo me, soprattutto sulla capacità delle imprese di rapportarsi sia con il mondo della scuola, che produrrà i futuri lavoratori, sia con il mondo dei disoccupati, attraverso i centri per l’impiego. Come Veneto Lavoro, posso dirvi che lo scorso anno abbiamo organizzato più di 70 eventi mirati a fare incrociare offerte di lavoro e disoccupati. Ma l’essenziale è che le imprese riescano a far emergere i propri bisogni, e che lo facciano in modo pubblico e trasparente, specificando di cosa hanno bisogno sul piano dei numeri, del contratto applicato, delle condizioni in essere, della durata dell’impiego. I canali che si possono utilizzare sono molteplici, dalle associazioni di categoria a Veneto Lavoro, alle agenzie di recruiting e di intermediazione. È una questione di cura del capitale umano: le aziende medio-grandi riescono a provvedere autonomamente, quelle più piccole devono invece farsi aiutare da professionisti. Quello che deve essere chiaro è che il problema non va affrontato da un punto di vista emergenziale, ma in modo continuativo. Come l’impresa si preoccupa dei costi delle materie prime e dell’energia ragionando a lungo termine, così deve fare anche per quanto riguarda il suo capitale umano».

E così tocchiamo il secondo aspetto del problema, legato a una ristrutturazione complessiva dei cicli scolastici che tenga conto delle mutate condizione della società in cui viviamo e del fatto che i ragazzi non seguono più certi percorsi di studio, per cui, di conseguenza, le scuole non riescono a rispondere alle esigenze delle imprese.

«Il sistema di formazione professionale veneto nel complesso funziona e coinvolge oltre ventimila persone. Dopodiché è evidente che esistono ampie possibilità di miglioramento. E penso, in particolare, allo spazio di riconversione di certi titoli di studio attraverso gli ITS, gli Istituti Tecnici Superiori, che offrono percorsi post diploma strutturati su una formazione tecnica altamente qualificata per entrare subito nel mondo del lavoro: riguardo agli ITS serve una maggior consapevolezza da parte delle famiglie, che devono considerarli come un’opzione importante, e da parte delle stesse scuole. Ma va detto anche che, per far fronte al problema, di ITS ne servirebbero dieci volte tanti rispetto a quelli realmente presenti».

In questo quadro, come dobbiamo leggere l’aumento dei contratti a tempo indeterminato registrato in Veneto nel 2022? Il dato spicca, perché il loro numero è salito di 37.400 unità tra 2021 e 2022.

«In Veneto il dato nuovo rispetto agli anni precedenti riguarda proprio la crescita delle assunzioni a tempo indeterminato registrate nel 2022: sono state oltre 121 mila, con un saldo positivo che, come ricordavate, supera le 37 mila unità, contro le 3.700 del 2021. Si osserva una ripresa della stabilizzazione dei rapporti di lavoro che deriva probabilmente dalla difficoltà di reperimento delle figure professionali di cui le aziende hanno bisogno. In sostanza, quando l’imprenditore trova quella che fa al caso suo, cerca di tenersela stretta, anche perché, oggi, il mercato è molto più vivace rispetto al passato».

 

Diego Zilio

Ufficio Stampa Confapi Padova

stampa@confapi.padova.it

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