In considerazione del fenomeno Coronavirus possono paventarsi responsabilità per i datori di lavoro? E quindi, come devono comportarsi? Va aggiornato il proprio Documento di Valutazione dei Rischi? E se il datore non rispetta le indicazioni delle Autorità in quali sanzioni incorre? Abbiamo provato a rispondere a queste domande nell’intervista all’avvocato Valerio Silvetti - Partner fondatore della BLS Compliance.
Avvocato Silvetti in considerazione del fenomeno “Corona Virus” possono paventarsi responsabilità per i datori di lavoro?
Mai come in questo caso è opportuno essere incisivi, arrivare dritti al punto e non perdersi in formalismi, neppure di tipo giuridico: sul datore di lavoro incombono certamente degli obblighi e relative responsabilità per il loro mancato assolvimento.
Quali sono gli obblighi?
I doveri si rintracciano nel Testo Unico in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro (D.Lgs. n. 81/2008) nonché nel più generico principio di tutela delle condizioni del lavoratore inserito nel codice civile. L’art. 2087 dispone infatti che l’imprenditore è tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica. Il T.U. esplode poi questo concetto prevedendo la nota valutazione di “tutti i rischi per la salute e la sicurezza presenti nell’ambito dell’organizzazione”.
Quindi il datore come si deve comportare?
Deve adottare la “diligenza del buon padre di famiglia”, ovvero sposare e condividere con la propria organizzazione le raccomandazioni fornite dalle Autorità e calarle nel proprio contesto operativo.
Si riferisce alle misure di sicurezza di cui alle ultime circolari emanate dalla Presidenza del Consiglio e del Ministero della Salute?
Certamente. Occorre far comprendere a tutti i dipendenti che il datore di lavoro, consapevole della situazione ormai creatasi, intende gestire l’emergenza al fine di tutelare la salute delle proprie risorse. La condivisione delle misure igieniche (lavarsi le mani, evitare il contatto ravvicinato, non toccarsi occhi, naso e bocca, etc.) e ancor di più quelle per evitare la diffusione (trasferte, spostamenti, visite presso clienti, riunioni, etc.) dovrà essere calata nel proprio contesto organizzativo. Voglio essere più concreto: non basta diffondere le circolari interne ma occorrerà fermarsi e riflettere. Attualmente, infatti, abbiamo dei comuni veneti e lombardi in cui vige il divieto di allontanamento e di accesso e pertanto per una società sarà impossibile dar corso ai rapporti professionali (consegne/ritiri/visite/appuntamenti/riunioni, etc.) all’interno di quelle aree geografiche. Discorso differente per le province destinatarie di misure di contenimento ma non anche del divieto di accesso: il comportamento è lasciato alla discrezionalità delle parti. E in questi casi come procedere con le attività? È per tali fattispecie che ritengo di doversi rifare al concetto del “buon padre di famiglia” e domandarsi - senza perdersi in discorsi di altra natura che non ci competono- è necessario dar corso a questa attività oppure è possibile posticiparla? Nel caso si intenda dar corso alle attività sarà opportuno fornire dispositivi di protezione (es. mascherine), disinfettante e formare il lavoratore circa la necessità di attenersi scrupolosamente alle direttive impartite dal titolare.
Oltre a questo le aziende devono aggiornare il proprio Documento di Valutazione dei Rischi?
La risposta al quesito in questione ha creato non poche polemiche tra gli addetti ai lavori. Si sono infatti venute a creare, neppure a dirlo (!), due correnti contrapposte di pensiero. Da una parte chi ritiene necessario aggiornare il DVR in forza di una serie di disposizioni interne al T.U. 81/2008 che riferiscono di come il datore debba considerare tutti i rischi e tra questi anche quelli biologici. Tra quelli biologici sarebbero racchiusi, oltre a quelli tipici della singola attività - esempio tipico delle strutture sanitarie - anche quelli di tipo “occasionale e potenziale”, tra cui appunto il Coronavirus. Tutti questi rischi dovrebbero dunque essere gestiti, valutati e minimizzati in termini di rischio adottando misure di prevenzione. Dall’altra parte invece abbiamo chi sostiene che l’aggiornamento del DVR sia necessario non per tutte le organizzazioni ma solamente per quelle al cui interno sussiste un proprio rischio biologico. Tuttavia, senza addentrarci in tecnicismi mi limiterei a trasmettervi le indicazioni giunte da alcune associazioni di categoria, come ad esempio da Assolombarda, che testualmente riferisce “(…) I Decreti e le Ordinanze che vengono emanati da Governo/Regioni sono Atti generali contenenti disposizioni speciali in ragione dell’emergenza sanitaria che come tali prevalgono sugli ordinari obblighi di tutela della salute sul lavoro previsti dal D.Lgs 81/08 e da altre leggi.
In relazione a quanto sopra, previe verifiche effettuate, lo specifico obbligo di aggiornamento del Documento di Valutazione dei Rischi di cui all’art. 28 del decreto 81/08 suddetto in relazione al COVID19, è subvalente rispetto alle citate normative speciali emanate in via d’urgenza a tutela dell’incolumità pubblica e della salute della collettività.
I datori di lavoro e i lavoratori, in relazione al contenimento degli effetti del Coronavirus, devono rispettare, nelle aree non soggette a disposizioni specifiche, le norme cogenti predisposte dalle Autorità, oltre a rafforzare le ordinarie indicazioni igieniche comunemente in atto.
La collaborazione, la responsabilità e diligenza di tutti i soggetti aziendali sono fattori essenziali in questa fase momentanea di criticità per le imprese, che potrà assicurare attenzione e prudenza accanto alla necessaria operatività aziendale.
La diffusione interna delle sole informazioni e comunicazioni messe a disposizione dalle Autorità Sanitarie (e non altre di fonti incerte), esaminate e adattate alle varie e diverse esigenze aziendali, può rappresentare un utile strumento di prevenzione e condivisione con i lavoratori”. Vedete anche qui si parla di diligenza (!) e della necessità di trasmettere le giuste informazioni ai dipendenti.
Molte aziende in fase di ingresso di terze parti richiedono la compilazione di moduli informativi. Si tratta di una prassi corretta?
Assolutamente no. Il trattamento dei dati personali è subordinato a una regolamentazione rigida e l’acquisizione di questo tipo di informazioni - sanitarie - è riservato a determinati contesti e finalità. Di queste ore il comunicato dell’Autorità Garante che, infatti, riferisce “i datori di lavoro devono invece astenersi dal raccogliere, a priori e in modo sistematico e generalizzato, anche attraverso specifiche richieste al singolo lavoratore o indagini non consentite, informazioni sulla presenza di eventuali sintomi influenzali del lavoratore e dei suoi contatti più stretti o comunque rientranti nella sfera extra lavorativa. La finalità di prevenzione dalla diffusione del Coronavirus deve infatti essere svolta da soggetti che istituzionalmente esercitano queste funzioni in modo qualificato".
In conclusione qualora il datore non rispettasse le indicazioni impartite dalle Autorità incorrerebbe in responsabilità?
La società potrebbe certamente rispondere, per aver cagionato con la propria condotta - ispirata alla mera politica del profitto e alla mancata organizzazione - delle sanzioni pecuniarie e interdittive previste dal D.Lgs. n. 231/2001.
Ufficio Stampa Confapi Padova