Intervista a Stefan Moritz, segretario generale di CEA-PME, la Confederazione europea delle Pmi: «L’elettrico è una delle opzioni ma non l’unica soluzione»
CEA-PME è la Confederazione europea delle Pmi, network riunisce 33 associazioni di imprese, tra cui l’italiana Confapi, e rappresenta 2,1 milioni di aziende con più di 20 milioni di addetti. Da tempo CEA-PME sostiene la necessità di rivedere la data del 2035 come termine ultimo per la produzione di autovetture a combustione endotermica passando integralmente a quelle elettriche. E il perché lo spiega in questa intervista Stefan Moritz, dal 2022 segretario generale della Confederazione, con cui collabora dal 2013, rappresentandola in diversi gruppi di lavoro istituzionali europei, comitati consultivi e reti internazionali.
Dottor Moritz, avrà sentito che la crisi Volkswagen coinvolge anche il marchio Audi, che lascerà lo stabilimento di Bruxelles. Oltre alle annunciate chiusure probabile di tre impianti, anche il sito belga del marchio premium tedesco, dove si produce un modello elettrico (l’e-tron Q8) la cui domanda è troppo bassa, cesserà le attività…
«Quando si vedono aziende della dimensione di Volkswagen chiudere impianti, l’allarme non può che risuonare forte. Non ci resta che insistere sulla rinnovata Commissione Europea per portarla a rivedere le sue posizioni, in modo che introduca il principio della neutralità tecnologica per raggiungere gli obiettivi di riduzione delle emissioni dei gas climatici: l’elettrico deve essere una delle opzioni, non l’unica soluzione. Fondamentale è guardare al ciclo di produzione della macchina e non solo a quanto esce dal tubo di scappamento. Dopodiché, che Volkswagen sia in ritardo sul piano della competitività è un fatto, ma se si vuole che lo recuperi occorre darle il tempo che serve per riuscirci».
Anche attraverso dazi nei confronti delle aziende asiatiche?
«Assolutamente no, i dazi finirebbero col ritorcersi contro la stessa Volkswagen, che vende abbastanza bene in Cina e sul mercato asiatico e che soffrirebbe eventuali ripercussioni: se perde anche quel mercato può già chiudere subito. Alla Cina può essere mandato un segnale diplomatico, chiedendole di smettere con gli aiuti di Stato alle aziende automobilistiche, ma la via da percorrere non è certo quella dei dazi».
E la strada delle agevolazioni per le aziende e gli acquirenti che intendono comprare veicoli elettrici, è quella giusta?
«Secondo noi non lo è. Le agevolazioni sono comunque frutto di tasse, e chi paga le tasse? Le piccole e medie imprese. Cioè noi. Tenete conto di come le agevolazioni in genere finiscano col tradursi in regali fiscali che aiutano solo le grandi aziende, come Volkswagen e Stellantis, che hanno enormi influenze sulle sfere della politica. A noi, però, interessa salvare l’intera filiera dell’automotive, non soltanto loro. Questo è un aspetto che deve essere centrale: il tema legato al futuro dell’automotive e alla nuova mobilità sostenibile deve essere affrontato considerando non solo i grandi gruppi automobilistici, ma anche e soprattutto le imprese dell’indotto. Diciamo piuttosto che serve un unico standard europeo per le colonnine di ricarica e uno snellimento a livello burocratico nelle certificazioni che servono per la loro costruzione: imprenditori interessati a costruire una rete efficace vi assicuro che ce ne sono e si faranno avanti, senza la necessità che siano gli Stati a mettersi in mezzo. Quello che per noi è cruciale è che la nuova Commissione Europea sostenga la competitività delle imprese e la smetta di insistere su quello che lo stesso Mario Draghi ha definito “autolesionismo”. E la competitività passa sì dalle infrastrutture che aiutino la diffusione delle auto elettriche, ma prima ancora dalla neutralità tecnologica».
Come si immagina il parco auto europeo nel 2035?
«Se non cambiamo subito le condizioni in cui devono produrre le imprese europee, per allora avremo un parco auto di aziende cinesi e coreane. Se vogliamo essere solo consumatori e non produttori basta esserne consapevoli, ma sappiamo che lo pagheremo in termini di posti di lavoro e benessere. Ecco perché occorre puntare su soluzioni come il bifuel e il biodiesel, su cui l’Italia - e la Fiat in particolare - è molto competitiva, prodotti che presentano emissioni molto basse. Perché insistere su un cambiamento totale e così rapido, quando invece può essere affrontato in modo più sostenibile economicamente? Vedete, oggi stanno arrivando al pettine molti nodi introdotti dalla legislazione del precedente Parlamento Europeo. Un esempio? Nel 2026 è previsto il riesame delle norme Ue che fissano lo stop alla produzione di auto a diesel e a benzina entro il 2035. Noi chiediamo che il riesame venga anticipato al 2025, perché aspettare un anno in più sarebbe dannoso per la programmazione del settore. Chiediamo, invece, che vengano ricalibrati i target alla luce degli sviluppi tecnologici occorsi nel frattempo. Affrontando la questione della neutralità tecnologica senza tabù».
Diego Zilio
Ufficio Stampa Confapi Padova