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PARITÀ DI GENERE NELLE IMPRESE, LA STRADA È ANCORA LUNGA

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Tanta strada è stata percorsa, ma tanta ne rimane ancora da fare: in occasione del webinar di approfondimento “Certificazione parità di genere - opportunità e benefici”, abbiamo provato a fare il punto sul tema assieme alla dottoressa Francesca Torelli, Consigliera Regionale di Parità del Veneto. L’occasione per riflettere su qual è lo stato dell’arte delle imprese del territorio sulla questione e sulle iniziative in campo per raggiungere un’effettiva parità di genere, toccando punti come il gender pay gap, il divario occupazionale, la dipendenza economica e, non ultimo, la violenza di genere.

Gentile dottoressa Torelli, oggi forse non tutti sono a conoscenza del ruolo della Consigliera di Parità, ci aiuta a presentare la sua figura?

«La Consigliera di Parità è una figura istituzionale, nominata dal Ministro del Lavoro, prevista da una legge del 1991, la n. 125. La sua istituzione è finalizzata alla promozione e al controllo dell'attuazione dei principi di uguaglianza e di pari opportunità fra donne e uomini nel mondo del lavoro e della formazione e, altresì, a contrastare e combattere le discriminazioni di genere, che ricomprendono le fattispecie delle molestie di genere e molestie sessuali e del mobbing, qualora quest’ultimo venga messo in atto per questioni legate al genere. Nell'esercizio delle proprie funzioni è un pubblico ufficiale e ha l'obbligo di segnalare all'autorità giudiziaria i reati di cui viene a conoscenza e può agire in giudizio per l'accertamento delle discriminazioni e la rimozione dei loro effetti. Inoltre, la Consigliera regionale di Parità si impegna con diverse azioni dirette alla rimozione degli ostacoli che impediscono la realizzazione di una sostanziale uguaglianza tra uomo e donna, ad esempio, promuovendo e pubblicizzando strumenti operativi quale può essere l’introduzione nelle organizzazioni della Certificazione per la parità di genere (prassi PdR 125:2022)».

E come si concretizza, nello specifico, la promozione delle Pari opportunità?

«Sostenendo progetti di azioni positive volti a compensare gli svantaggi legati al genere e a migliorare il benessere organizzativo; nel favorire l’implementazione delle politiche attive che favoriscono pari condizioni di trattamento nell'accesso alla formazione, al lavoro, nella progressione professionale e di carriera, nelle condizioni di lavoro e nella retribuzione.

Tutto questo anche grazie alla continua attività di informazione e comunicazione sui suoi profili istituzionali nei principali social network, volta a dare visibilità a persone, realtà lavorative, buone prassi e iniziative socio-culturali virtuose e attente ai principi e valori alla base della sua istituzione.

Infine collabora strettamente con i competenti Assessorati alle pari opportunità, al lavoro e con gli Organismi di parità degli enti locali per la promozione e diffusione di buone prassi».

In questo ambito, come si inserisce il tema della Certificazione della parità di genere e perché è importante per le imprese ottenerla?

«La Certificazione della parità di genere, a mio avviso, è principalmente uno strumento che, per come è costruito, permette di avere maggior consapevolezza dei dati sulla situazione del personale all’interno della propria organizzazione. Uno dei primi passi che la certificazione chiede di fare è quello di analizzare per ciascuna area aziendale, amministrazione, commerciale, produzione, qual è la suddivisione tra uomini e donne ai diversi livelli e questa fotografia, di solito restituisce un quadro in cui troviamo poche donne in posizioni apicali o poche donne in determinate aree. Nella continua corsa ad affrontare i problemi quotidiani non ci si sofferma mai su questi aspetti e non ci si è mai chiesti se una valente impiegata ci ha lasciato perché non vedeva donne tra i responsabili o per altri motivi non legati alle politiche di genere in azienda, o se in un determinato reparto produttivo tutto sommato non potrebbe essere più arricchente avere dei team misti, formati da donne e uomini, ogniuno con le sue specificità e capacità di contribuire alla squadra anche in termini di confronto, capacità di gestire i conflitti e le relazioni. Avviare un percorso di certificazione permette di fare questo, interrogarsi e capire se un diverso assetto o distribuzione non potrebbe portare vantaggi all’intera organizzazione e ai singoli per poi guidarci nella definizione di un piano di miglioramento e di una serie di procedure per raggiungere un valore nei KPI o indicatori di riferimento, che permettano di ottenere la certificazione».

Non si tratta di un semplice “bollino”, però.

«Deve essere chiaro che la certificazione non lo è: è l’introduzione di un sistema di gestione del personale chiaro, rispettoso dei principi di equità e non discriminazione e meritocratico. E come tale non può che aumentare il livello di fidelizzazione da parte dei e delle dipendenti. Vorrei essere chiara, un contesto che sia discriminante per le donne o che non permetta a uomini e donne di esercitare la loro funzione di genitori attivi, produce un senso di disaffezione anche negli uomini, anche in chi non ha figli. La presenza di comportamenti e disposizioni che appaiono come iniqui ha delle ricadute in termini di clima aziendale, motivazione e fidelizzazione non solo sui diretti destinatari del comportamento, ma anche sui testimoni. Una molestia sessuale non gestita, un responsabile discriminante e misogino, generano un senso di malessere anche sulla componente maschile che non si riconosce in quello stile».

Dal suo osservatorio privilegiato, qual è lo stato dell'arte nel tessuto imprenditoriale veneto sia sul tema specifico della certificazione sia, più in generale, sulla questione della parità di genere?

«Parto dalla seconda parte della domanda. A mio avviso il tessuto imprenditoriale veneto ha una discreta sensibilità verso questi temi, mi è possibile fare questa affermazione per una serie di motivi. Da un anno a questa parte sono sempre più diffusi e frequenti iniziative di promozione della PdR 125:2022 come le iniziative in cui si parla di molestie e violenza in ambito lavorativo e ho potuto constatare che sono eventi sempre più partecipati, con la presenza di soggetti che hanno le più disparate posizioni professionali: imprenditori, manager, professionisti, operai e impiegati) distribuiti tra uomini e donne. Sono temi sentiti e partecipati, a differenza di qualche anno fa. E la provincia di Padova è una delle più attive su questi temi.

In seconda battuta come Consigliera di Parità ricevo i rapporti biennali sulla situazione del personale nelle aziende con più di 50 dipendenti. Nell’ultima rilevazione abbiamo avuto una adesione che ha superato l’80%, a dire il vero questo è un obbligo, pertanto a livello teorico dovremmo raggiungere il 100%, ma non è così, in altre regioni il tasso di risposta è molto più basso. Inoltre 135 realtà lo hanno inviato anche se non erano obbligate a farlo. 

Nella provincia di Padova sono già una trentina le aziende con sede legale in provincia certificate, mentre in totale i siti produttivi e unità locali certificati sono circa 180, pari al 30% di tutta la regione. Nel Vicentino abbiamo circa venti realtà con sede legale sul territorio che si sono certificate e circa un’ottantina tra sedi principali, secondarie e operative, equivalenti al 13% del totale. La provincia di Verona pesa per il 10%. In provincia di Venezia risultano essere presenti 390 siti certificati, ma circa 260 appartengono a due sole società che hanno molte sedi sul territorio, pertanto il dato e il peso di questa provincia vanno ridimensionati e possiamo dire che incidono per il 21% sul dato regionale. 

Desidero infine segnalare che nella provincia di Padova, come Treviso, Vicenza e Venezia, sono da tempo presenti realtà che hanno scelto da tempo di certificarsi secondo lo standard del Family Audit, importante strumento per una gestione del personale che favorisca la conciliazione vita e lavoro favorendo il benessere e il senso di equità negli individui e al contempo aumentando la produttività aziendale e alcune di queste realtà hanno deciso di affiancare alla certificazione Family Audit quella della Certificazione di genere in un connubio assai virtuoso».

Sempre nell'ottica di allargare la prospettiva, uno dei temi che meritano attenzione è il gender pay gap: in questo senso, qual è la situazione in Veneto e come va affrontata la questione?

«Questo è un punto dolente, il recente rapporto che ho curato e che tratta anche questo aspetto fa emergere un importante divario retributivo, si pensi che la retribuzione media oraria di un dirigente è pari a 80 euro orarie, quella della collega dirigente è pari a 53 euro orarie, significa che l’uomo per un livello di pari responsabilità guadagna il 53% in più della collega (partendo come riferimento per il calcolo del divario dall’incidenza sulla paga più bassa). A livello operaio in termini assoluti il divario è inferiore, l’uomo ha una retribuzione media di 17,2 euro orari, mentre la collega operaia di 12,9 euro orari, con una differenza di 4,3 euro, che in rapporto alla retribuzione della donna equivalgono al 33% della sua retribuzione. La PdR 125:2022 è uno strumento che permette di avere maggior contezza e visibilità su questi dati e induce l’organizzazione ad adottare dei correttivi per migliorarsi sotto questo profilo.

La Regione Veneto a livello di istituzione si è mossa molto bene sul punto emanando la legge n. 3/2022, che va a introdurre un registro delle imprese virtuose cui sarà collegata una premialità sotto vari aspetti, quali l’accesso a finanziamenti, che va a valorizzare le realtà che riducono il gender gap al loro interno e rendono trasparenti i dati».

Recentemente, in un intervento pubblico, il segretario dell’Onu Antonio Guterres ha dichiarato che serviranno 300 anni per raggiungere un'effettiva parità di genere, che pure è un obiettivo dell'Agenda 2030. Ovviamente, la questione della disparità di trattamento economico è solo uno dei punti di un problema più ampio, che tocca il divario occupazionale, la dipendenza economica e, non ultimo, la violenza di genere. È davvero così allarmante la situazione?

«Il mio ufficio non ha certo un sistema di statistiche e raccolta dati evoluto come quello che può aver a disposizione l’ONU, i dati che ho appena esposto però vanno nella direzione di confermare quanto dice il Segretario di questa istituzione. Potrei spingermi a dire che probabilmente non abbiamo questa percezione del problema perché è legato a tutta una serie di aspetti culturali che ci fanno sembrare equo e non discriminante determinate situazioni. Ad esempio, affermare che le donne desiderano stare a casa e occuparsi dei figli quando piccoli e pertanto aumentare il periodo di congedo e l’indennità percepita per consentire questo può essere corretto per alcune situazioni, ma può essere discriminante per quella donna che invece vorrebbe rientrare al lavoro quanto prima e affidare il figlio o la figlia in un nido di qualità a un costo sostenibile. Non dovrebbe più esserci una attribuzione della società rispetto a cosa preferisce o non preferisce fare una madre, occorre creare i presupposti per consentire a uomini e donne di fare quello che desiderano, senza condizionamenti culturali relativamente al loro ruolo. Conosco uomini che avrebbero voluto essere più presenti e attivi in famiglia ma che non lo hanno fatto perché sarebbero stati derisi e non compresi sul lavoro e tra i parenti. Anche questo non va bene, tutti gli individui devono poter scegliere di esercitare il loro ruolo professionale e familiare come sentono. Se riuscissimo a comprendere questo probabilmente raggiungeremo la parità in un periodo inferiore di tempo».

 

Diego Zilio

Ufficio Stampa Confapi Padova

stampa@confapi.padova.it

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