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«QUELLA DI TRUMP È UNA STRATEGIA A LUNGO TERMINE PER PORTARE TUTTI A NEGOZIARE»

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Fabbrica Padova, centro studi di Confapi, ha chiesto al prof. Roberto Antonietti - Dipartimento di Scienze Economiche e Aziendali “Marco Fanno” dell’Università di Padova, dove insegna Istituzioni di Economia Politica, Economics of Innovation ed Economic Globalization and Human Rights - di analizzare quali scenari si prospettano per le imprese del Nord Est, dopo che il presidente Donald Trump ha annunciato l’introduzione di dazi al 25% sui veicoli importati negli Stati Uniti.

 

Professore, l’avevamo intervistata all’indomani dell’insediamento di Donald Trump alla presidenza degli Stati Uniti e, all’epoca, quella dei dazi sembrava solo una minaccia. Ora siamo passati dalle promesse ai fatti. È stupito?

«In realtà non lo sono più di tanto. Trump, in fondo, ci ha abituato alle sorprese e a una certa “variabilità” negli annunci, tanto che ormai c’è una sorta di incertezza costante ad aleggiare. Quello che, però, è il caso di sottolineare è che i dazi, in questo caso, non sono un mero strumento di politica commerciale: intendo dire che l’obiettivo di Trump non è solo ed esclusivamente quello di pareggiare o ridurre il deficit commerciale con l’Europa e gli altri paesi. O, meglio, questo è sì un obiettivo, ma rimane sullo sfondo. Trump vuole arrivare a qualcos’altro e i dazi sono una via per riuscirci».

Vale a dire?

«Sono convinto che i dazi siano una minaccia che serve a mettere tutti attorno a un tavolo a discutere una serie di questioni che, secondo me, approderanno a un esito in estate. Dobbiamo leggere tutto lo scenario in un’ottica macroeconomica e finanziaria. Ci sono alcune ipotesi che personalmente mi convincono e che stanno emergendo tra gli analisti. Per quanto riguarda i rapporti con la Cina abbiamo visto che, sullo sfondo, c’è la questione di TikTok, che a noi interessa relativamente. Per quanto riguarda l’Europa sono due gli aspetti da tenere in considerazione. Il primo concerne il dollaro: l’imposizione dei dazi è funzionale alla sua svalutazione, che servirà, a sua volta, ad aumentare le esportazioni americane riducendo le importazioni. I dazi sono mirati a questo: avere un dollaro in caduta rispetto all’euro è funzionale alla politica di Trump e serve ad aumentare la competitività di prezzo dei beni americani, che gli acquirenti esteri troveranno più appetibili. E vengo al secondo punto: non dobbiamo dimenticarci che sono in scadenza una serie di bond, pari a un valore di circa 7 mila miliardi di dollari, che gli Stati Uniti devono piazzare in un qualche modo, perché sono parte del loro debito pubblico. Ora, la Cina e il Giappone hanno già dichiarato di non avere alcuna intenzione di acquistare, peraltro a tassi ribassati, questi bond, per cui gli Stati Uniti cercheranno di venderli ai governi europei e useranno i dazi come leva. In sostanza, questa manovra servirebbe a forzare i paesi europei a comprare titoli del debito americano. Dopodiché, va anche tenuto conto di un altro tema: negli Stati Uniti esiste un rischio inflattivo molto più pressante che in Europa, per cui nella disamina entrano anche i rapporti con la Fed. E qui emergono altri due obiettivi di lungo termine. Il primo è la reindustrializzazione degli Stati Uniti, Questo obiettivo ha chiaramente un orizzonte di lungo termine perché gli Stati Uniti non hanno il know-how per raggiungerlo in tempi brevi, avendo delocalizzato molto negli scorsi anni, e importato tecnologia e macchinari che provengono in grandi quantità dalla Cina, dall’Europa e anche dall’Italia stessa. L’ottica è però quella: usare la svalutazione del dollaro anche per attirare capitali esteri in modo, appunto, da reindustrializzare il Paese. Secondo, c’è la necessità di calmierare l’andamento dei tassi di interesse sui bond decennali. Si tratta di un obiettivo molto importante perché parliamo di tassi il cui andamento è meno vincolato alle regole imposte dalla Fed, che agisce sui tassi a breve termine. A questo proposito, sappiamo che la Fed è molto cauta nell’abbassare ulteriormente i tassi, vista la turbolenza del momento e i rischi di inflazione indotta: quindi per Trump questo è un modo per, in qualche modo, bypassarla. Inoltre, non dimentichiamo che i tassi a lungo termine sono quelli che influenzano di più i mutui delle case, che sono una delle componenti principali del portafoglio di spesa degli americani. Dimostrare di essere il Presidente che farà scendere i tassi sui mutui avrà un forte impatto sul consenso elettorale. Questo è uno degli aspetti su cui il Trump 2 più si differenzia dal Trump 1, perché oggi sembra curarsi meno dell’andamento dei mercati azionari (in sofferenza, ma al momento ancora influenzati dalla politiche del suo predecessore), e più ai tassi di interesse di lungo termine».

Ci faccia capire: quindi quando Trump dice che dagli imminenti dazi gli Usa incasseranno «tra i 600 milioni e un trilione di dollari in due anni» si tratta di una sparata puramente propagandistica, perché l’obiettivo è più a lunga gittata ed è quello di portare tutti i vari attori citati a negoziare?

«Credo proprio di sì, anche perché non è nuovo a queste “sparate”, come sappiamo. Al contrario io mi aspetto che entro l’estate ci sia una negoziazione forte e che i dazi possano essere rivisti o addirittura cancellati, o magari limitati su alcuni prodotti o su alcune aree del mondo. Non dimentichiamo, ovviamente, che i partner commerciali degli USA si stanno attrezzando con dazi di rappresaglia, il che rende il calcolo sul gettito molto più difficile da effettuare».

Possiamo dire che, se un primo effetto c’è stato, è stato quello di ricompattare l’UE?

«Non ne sono così sicuro. Su alcuni aspetti sì, il ricompattamento c’è stato, su altri meno. Se parliamo dei dazi di rappresaglia è vero: l’Unione Europea così come anche gli altri paesi coinvolti, sta preparando una contromossa che è tipica delle guerre commerciali, e lo sta facendo in maniera abbastanza compatta, nonostante ci sia qualche divergenza interna (l’Italia, ad esempio, tiene una posizione un po’ più morbida rispetto ad altri Stati). Su altri temi questa compattezza viene meno, a partire dalla questione della difesa comune».

È il caso di soffermarsi sui cosiddetti contro dazi a cui sta lavorando l’UE: è la risposta più sensata?

«Ritengo di sì: la storia ci insegna che questo è sempre stato fatto e, dico di più, è anche un segno di forza. L’Unione Europea non può pensare di subire così passivamente le imposizioni di dazi da parte di paesi terzi; quindi, indubbiamente, una risposta va data anche per far vedere che l’Unione non è fragile da questo punto di vista: insomma, una reazione serve».

Tornando più direttamente alle nostre imprese: come rimarcato anche dal presidente di Confapi Padova Marco Trevisan, per le Pmi diventa ancora più cruciale sfruttare gli strumenti che sono a disposizione per diversificare i mercati a cui si rivolgono. Concorda? 

«La parola diversificazione in questi casi è d’obbligo: quando aumenta l’incertezza occorre diversificare il portafoglio, che sia attraverso investimenti di natura finanziaria o che riguardino destinazioni o strategie di export. È chiaro che i settori più esposti sono quelli che a loro volta sono molto presenti negli Stati Uniti, con l’automotive e il suo indotto in primis, ma anche la meccanica, la farmaceutica, l’abbigliamento, l’agrifood e diversi altri. A breve termine non sarà facile farlo, ma l’Italia può puntare sugli aspetti qualitativi dei propri prodotti per riuscirci».

 

Diego Zilio

Ufficio Stampa Confapi Padova

stampa@confapi.padova.it

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