Dopo aver ascoltato il presidente di Veneto Sviluppo Fabrizio Spagna, Confapi Padova torna a occuparsi delle scelte di sviluppo del territorio e di come intercettare i fondi del PNRR con questa intervista esclusiva al professor Paolo Gubitta, presidente del corso di laurea in Economia dell’Università di Padova e componente del Comitato Tecnico Strategico istituito dalla Regione e coordinato da Veneto Sviluppo Spa: «O le transizioni ecologica e digitale sono di tutti, oppure semplicemente non sono».
Professore, partiamo dalla stretta attualità: il Protocollo d’Intesa firmato martedì 13 luglio tra SMACT Competence Center e tutti i principali soggetti istituzionali ed economici della città, tra cui Confapi Padova. In che modo si inserisce la formazione in questo contesto?
«Vediamola in questi termini.
Due dei grandi assi lungo i quali si muove il PNRR sono: “promuovere e sostenere la trasformazione digitale del Paese e l’innovazione del sistema produttivo” (Missione 1) e “migliorare la sostenibilità e la resilienza del sistema economico assicurando una transizione equa e inclusiva” (Missione 2).
Per (provare a) raggiungere questi obiettivi, è indispensabile che tutte le persone attive sul mercato del lavoro siano accompagnate nel potenziamento delle loro competenze e nell’acquisizione di nuove competenze, coerenti con il contesto in evoluzione e sul quale ci saranno ingenti risorse da investire.
Se ci poniamo in questa prospettiva, la firma del Protocollo d’Intesa è un segno tangibile che ci stiamo muovendo nella giusta direzione: le Parti Sociali hanno dimostrato di aver capito che solo se la formazione coinvolgerà grandi masse di lavoratori e di lavoratrici potremo veramente salire sul treno del PNRR».
Insomma, un Protocollo che cade a fagiolo in questo momento storico.
«Sì, ma non si faccia l’errore di guardare al dito invece che alla luna.
Non siamo di fronte a pragmatismo (o, se preferite, a convenienza di breve periodo). Siamo invece in piena sintonia con il concetto di Giusta Transizione, che lungi dall’essere un vezzo stilistico, è uno dei pilastri dell’azione europea che ci accompagnerà nei prossimi anni.
La Giusta Transizione, testualmente, “è uno strumento chiave per garantire che la transizione verso un'economia climaticamente neutra avvenga in modo equo e non lasci indietro nessuno”.
Chiaro il concetto? Si dice di non lasciare indietro nessuno. A me piace dire che “o le transizioni ecologica e digitale sono di tutti, oppure semplicemente non sono”. La Giusta Transizione è un fenomeno di massa (o, se preferite, nazional-popolare) e non un evento da élite.
Insomma, usando le parole di Fulvio Coltorti (la persona che, quando era direttore del Servizio Studi e Ricerche di Mediobanca, inventò il concetto di Quarto Capitalismo, che è quello delle medie imprese), solo se renderemo accessibile la formazione non solo ai soliti lucky few (pochi fortunati: persone già "skillate", capaci di interpretare i cambiamenti in corso, consapevoli del valore delle competenze e con risorse per fare formazione) ma agli happy many (cioè alle persone, che spesso senza colpa non sono nelle condizioni di fare formazione utile)».
In teoria, il suo ragionamento non fa una piega. Ma in pratica?
«In pratica, con il Protocollo d’Intesa ci sarà la possibilità di portare grandi numeri nella Live Demo di SMACT Competence Center, cioè negli spazi concepiti per realizzare formazione innovativa grazie a installazioni che fungono da “casi di scuola” per vedere e toccare casi dimostrativi, che permettono alle persone di acquisire conoscenze e di verificare con immediatezza le skill, cioè il passaggio da “ho una conoscenza e conosco un concetto” a “so svolgere (più o meno bene) un’attività o un compito o una mansione”.
Il Protocollo d’Intesa è anche un esempio che conferma quello che dico da qualche anno: non ci basta più la formazione continua ma ci serve la formazione ricorrente. L’elevato ritmo delle innovazioni tecnologiche e organizzative impone di acquisire in modo ricorrente nuove abilità (sociali, tecnologiche, tecniche o professionali). La formazione ricorrente di chi già lavora reclama soluzioni originali, che non possono essere i tradizionali percorsi d’aula, ma un modo diverso che possiamo definire modello Lego: da un lato, sessioni formative centrate su competenze e abilità specifiche, che il lavoratore acquisisce in fretta e che poi, come con i mattoncini Lego, aggiunge alla sua professionalità per adattarla quanto basta alle nuove esigenze; dall’altro, metodi didattici partecipati, dove si impara sperimentando, interagendo e osservando gli altri e simulando decisioni, e non solo seguendo una lezione, prendendo appunti e risolvendo casi.
La trasformazione digitale e la transizione ecologica hanno bisogno della formazione per grandi masse (gli happy many citati prima) e con un approccio plug&play (coerente con i tempi compressi dei cambiamenti che scaricano sui lavoratori la fatica ricorrente di imparare cose nuove e, a volte, di disimparare quelle consolidate).
Il Protocollo d’Intesa e la Live Demo ci permettono di farlo».
Lei è anche uno dei componenti dell'Advisory Board che fa capo a Veneto Sviluppo, a cui, se vogliamo riassumere il tutto in termini un po' sloganistici, è stato affidato il compito di immaginare il Veneto che verrà. Nel momento in cui alcuni modelli di business sono probabilmente cambiati per sempre a causa della pandemia, come si immagina le aziende di domani?
«Più che sulle aziende, dobbiamo puntare sugli ecosistemi di imprese, istituzioni e comunità. È questa la prospettiva originale che ci serve e da cui non possiamo prescindere.
C’è chi continua ostinatamente a dire alle imprese “dovete crescere”, ma non suggerisce come fare e, soprattutto, ignora quella Giusta Transizione che sarà la stella polare che guiderà le classi dirigenti autenticamente responsabili.
Bisogna mettersi all’ascolto delle imprese leader di filiera o di settore o di mercato, sedersi con loro attorno a un tavolo e individuare anche insieme a loro le traiettorie su cui lavorare nei prossimi anni.
Queste imprese hanno spesso la forza per poter fare da sole, ma reclamano politiche fiscali e istituzioni snelle per avere un supporto nei progetti di sviluppo.
Ma la forza di queste stesse imprese è depotenziata se attorno a loro non si garantisce un sistema di realtà medie, medio piccole e piccole che hanno bisogno di strumenti e supporti diversi, sia per competere in autonomia sui mercati locali o continentali, sia per diventare partner credibili e affidabili all’interno di reti di fornitura globali, continentali o nazionali.
Detto in altri termini, le politiche e gli indirizzi devono essere disegnati su orizzonti temporali diversi, vanno segmentate per target (dimensionale, settoriale, di filiera) e vanno accompagnate con strumenti e approcci coerenti con gli specifici obiettivi. Credetemi: è più difficile raccontare queste cose, che farle.
In parallelo, ma su questo il PNRR è limpido, serve un adeguamento della capacità delle amministrazioni pubbliche di accompagnare le imprese nelle sfide della modernità: questa leva è nelle mani nazionali; a livello regionale si può agire solo in modo marginale (e in Veneto, è opportuno ribadirlo, con le leve di cui disponiamo oggi, abbiamo già fatto molto).
Resta il tema delle comunità. Non c’è futuro sostenibile e non ci sarà una vera mobilitazione di massa per agganciare le traiettorie di sviluppo del PNRR (nazionale, con le declinazioni regionali) senza una strategia che si prenda a cuore le comunità locali, con servizi e azioni coerenti con gli obiettivi del PNRR.
Insomma, bisogna avere una visione d’insieme e, dopo averla concepita, è necessario intervenire con azioni condivise, puntuali ma tra loro interdipendenti».
Diego Zilio
Ufficio Stampa Confapi Padova