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STIPENDI MEDI, PADOVA SALE, TREVISAN: «FACCIAMO LA NOSTRA PARTE, MA IL SISTEMA VA RIVISTO»

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Gli stipendi padovani sono tra i più alti d'Italia e sono pure in aumento. La situazione non è tutta rose e fiori perché in provincia ci sono diverse crisi aziendali che preoccupano e intanto c'è ancora un'altissima mole di contratti precari, ma intanto il quadro dei salari porta con sé due elementi positivi. La retribuzione media lorda mensile è di 1.960 euro e cresce del 3,5% rispetto all'anno precedente. Padova è la quindicesima provincia in Italia e la seconda del Veneto, sotto Vicenza per soli 13 euro.

Nella classifica delle regioni il Veneto è quarto dietro a Lombardia, Emilia e Piemonte ma davanti a Trentino, Friuli e Lazio. In fondo alla classifica solo regioni del sud: Calabria, Sicilia, Campania e Puglia. In Veneto la retribuzione media mensile lorda è di 1.884 euro, +3,3% rispetto all'anno precedente.

A Padova, dove i lavoratori presi in considerazione sono 323.491, la retribuzione media lorda è leggermente più alta. La classifica è dominata da Milano e Monza-Brianza, poi seguono nell'ordine Parma, Modena, Bologna, Reggio Emilia, Lecco, Torino, Bergamo, Varese, Bolzano, Trieste, Vicenza, Genova e appunto Padova. Dietro troviamo Treviso (1.951 euro), Verona (1.865), Belluno (1.829), Venezia (1.728) e Rovigo (1.633). In coda Cosenza, Nuoro e Vibo Valentia dove la cifra media lorda è di appena 1.030 euro.

Sul tema, al centro di un ampio approfondimento, il quotidiano il Gazzettino, di cui riportiamo i dati, ha chiesto un commento al presidente di Confapi Padova Marco Trevisan, chiamato a riportare il “sentiment” delle piccole e medie imprese. Eccolo:

«Credo che le imprese abbiamo il dovere di svolgere un ruolo di primo piano nella comunità in cui sono inserite, esercitando attivamente la propria responsabilità sociale. In questo senso, gli imprenditori padovani e veneti si sono mostrati pronti nel fare la propria parte, facendo in modo che le retribuzioni venissero adeguate al costo della vita.

Dietro all’incremento c’è inoltre l’ormai endemica questione della carenza di manodopera, per cui la progressione retributiva si spiega anche con le difficoltà che le imprese affrontano nel trovare e trattenere dipendenti chiave, mostrandosi disponibili a pagarli di più per fidelizzarli.

A queste considerazioni occorre aggiungerne altre e, nel farlo, partirei dai dati più recenti diffusi dall’OCSE, l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, attraverso il ‘Taxing wages 2024’: qui si osserva come il cuneo fiscale in Italia, ossia l’indicatore che misura la differenza tra il costo del lavoro per l’azienda e il salario netto che il lavoratore riceve effettivamente in mano, nonostante sia sceso dal 45,9% dell’anno precedente, rimanga uno dei più alti tra i paesi UE, attestandosi al 45,1% del costo del lavoro nel 2023 (per un lavoratore standard single e senza figli a carico), contro una media Ocse del 34,8%. In altre parole, significa che quasi la metà delle spese sostenute dalle aziende per impiegare un lavoratore sono destinate a tasse e contributi sociali, andando ad aggravare la già pesante mancanza di competitività delle nostre aziende.

L’aumento dei salari, non dimentichiamolo, si riflette in un aumento dei consumi, che sono alla base di tutto il funzionamento dell’economia. Ma il punto è che occorre mettere mano all’intero sistema della tassazione sul lavoro, alleggerendo il carico fiscale che grava su imprese e lavoratori».

Nell'immagine in alto la tabella elaborata dal Gazzettino di Padova sugli stipendi in Italia

 

Diego Zilio

Ufficio Stampa Confapi Padova

stampa@confapi.padova.it

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