Enrico Venturato, titolare di MED health & technologies, spiega come la tecnologia MORe stia rivoluzionando il settore ospedaliero
Si chiama MORe. L’acronimo sta per modular operating room experience, ed è l’innovativa tecnologia sviluppata dall’azienda di Maserà di Padova MED Health Technologies per realizzare reparti specialistici e sale operatorie modulari e trasportabili, con procedure di appalto semplificate. «Se dovessi spiegare come funziona, semplificando un po’ userei la metafora dei lego che possiamo comporre e scomporre: di fatto possiamo realizzare ogni struttura ospedaliera - senza limitazioni tecnologiche e in modo assolutamente conforme alle restrittive normative che vigono in ambito sanitario - consentendo poi di riconfigurarla in una fase successiva. E con la possibilità di essere energeticamente autonomi: si tratta di strutture già attrezzate con impianti meccanici, di gas medicali, impianti elettrici e speciali».
A parlare è l’ingegner Enrico Venturato, presidente e direttore tecnico dell’azienda di cui è titolare assieme al fratello Alberto, dal canto suo amministratore delegato e referente per la parte legale, amministrativa e finanziaria. MED health & technologies nasce nei primi anni 2000 dalla fusione tra Meccanica Venturato - impresa di famiglia nata nel 1968 a Polverara e poi trasferitasi a Legnaro e infine a Maserà, che si occupava di costruzione meccanica di precisione - e Med Srl, azienda di Castelfranco che produceva impianti chiavi in mano in ambito sanitario e che è stata acquistata e fatta convogliare nella nuova realtà.
Il 2020 è stato un anno spartiacque per voi.
«È così. Abbiamo realizzato un vero e proprio exploit nel fatturato, arrivando ad aggiungere uno zero. Lo abbiamo chiuso attorno ai 20 milioni di euro, mentre negli anni scorsi ci attestavamo sui 2-2,5 milioni. La svolta c’è stata in pieno lockdown, nel momento in cui abbiamo vinto una gara lampo di appalto in Campania. Con un certo orgoglio possiamo affermare che siamo l’unica azienda a essere riuscita a rispettare le tranches di 18, 21 e 32 giorni per consegnare tre strutture all’ospedale del Mare di Napoli, al San Sebastiano di Caserta e al Ruggi di Salerno, per un totale di 120 posti di terapia intensiva Covid-19. Altri hanno realizzato strutture analoghe in Italia, ad esempio per l’ospedale della fiera di Rho a Milano, ma all’interno di complessi già esistenti, qualcosa di diverso da noi, che non solo abbiamo vinto una gara di appalto svolta in un giorno, ma abbiamo progettato e realizzato ex novo tre strutture nei parcheggi di tre siti diversi».
Avevate però già utilizzato la tecnologia MORe.
«Sì, ad esempio per l’ospedale di Brescia nel 2008, per quello di Novara nel 2016 e, nel 2019, per la terapia intensiva utilizzata a Padova e inaugurata dal governatore Zaia. Ma per i casi citati parliamo di strutture in acciaio pesante, mentre in Campania abbiamo fatto ricorso alla versione light, più semplice e rapida da produrre. La stessa che utilizzeremo per il Parini di Aosta e in altre città. Operativamente, le strutture MORe sono costruite e collaudate nella nostra sede prima della posa in opera definitiva. Superato il collaudo, i reparti vengono smontati, trasferiti alla sede di destinazione, riassemblati, resi operativi in modalità Plug&Play e collaudati in loco. Questa modalità di costruzione consente di abbattere i tempi di realizzazione e minimizzare l’impatto sull’operatività ordinaria della struttura, grazie anche all’assenza di opere murarie e alla semplicità di collegamento con gli edifici preesistenti. Ma consente anche di ovviare al problema dei tempi lunghi per le gare di appalto. E questo anche perché le nostre strutture possono essere acquistate con la formula per fornitura di beni, invece dell’appalto per lavori».
Siete però anche un partner consolidato di Fincantieri e di diverse compagnie di crociera, nella progettazione, realizzazione e allestimento dei reparti specialistici ospedalieri on board per le unità navali.
«Abbiamo progettato e realizzato i sistemi medicali integrati consegnati alla Marina Militare Italiana dal 2005 a oggi. Tra questi, le aree ospedaliere, da 50 mq ciascuna, per le 10 fregate del programma europeo FREMM; l’area ospedaliera dalla portaerei Cavour; l’area medica della nave Amerigo Vespucci; l’ospedale di bordo da 700 mq della Vulcano, la LSS (Logistic Support Ship) della Marina, che si sviluppa su due ponti e è attrezzato con sale chirurgiche, trattamento emergenze, trattamento ustionati, terapia intensiva e rianimazione, radiologia e analisi, gabinetto dentistico, ginecologia e zona degenza in grado di ricevere fino a 8 ricoverati acuti, 8 trattamenti in codice rosso e 8 pazienti in terapia intensiva».
Una crescita come quella registrata in questi mesi impone all’azienda di ristrutturarsi in modo adeguato alla nuova dimensione. Come vi state attrezzando?
«Finora a poche settimane fa avevamo 15 dipendenti, ma per far fronte a richieste istantanee come quelle della Regione Campania stiamo coltivando grazie al lavoro di Alberto una rete di imprese fidelizzate, quasi tutte venete, per cui siamo in grado di passare rapidamente da 15 persone a più di 250. Accennavo ai 15 dipendenti, ma abbiamo recentemente aumentato la forza lavoro interna di 10 unità».
Quali sfide vi attendono nel 2021?
«Saremo al lavoro su due fregate e due LSS per la Marina Militare Italiana, che sta ragionando sull’opportunità di adottare strutture modulari che si possano montare su una nave per poi essere ricomposte per un’altra. Inoltre ci siamo aggiudicati lavori per un ospedale a Saronno e per altri in Italia, ma tenete conto che nei prossimi quattro anni il Sistema sanitario nazionale sarà ristrutturato, col Commissario straordinario Arcuri che ha da poco dato il via a bandi per quasi 750 milioni di euro. Saranno vinti da grosse realtà del settore, ma quando comincerà il lavoro specialistico la prospettiva è di essere coinvolti. Per quanto abbiamo dimostrato, ritengo che potremo giocare un ruolo di partner privilegiato».