La palla ovale, il passaggio generazionale, gli investimenti. Intervista a Giancarlo Geremia, che ha raccolto il testimone di papà Bruno alla guida di Geremia Lubrificanti
Dici Geremia e subito pensi alla palla ovale, al Petrarca, alla stessa storia della città di Padova. «Memo (giocatore, allenatore e presidente del club tuttonero, nonché fondatore del centro sportivo alla Guizza a lui dedicato, ndr) era mio zio e, assieme a mio padre Bruno erano soci nella gestione di Geremia Lubrificanti», spiega oggi Giancarlo. Che, in questa intervista, si racconta a cuore aperto. Con i ricordi che lasciano spazio al futuro.
Da più di cinquant’anni Geremia Lubrificanti commercializza lubrificanti Shell e altri marchi di primo livello, tanto da essere una delle rivendite leader nel Veneto. Lei ne ha 38, quando ha iniziato a lavorare per l’azienda di famiglia?
«Fino al 2011 non avevo le idee chiare su ciò che avrei fatto. Confesso che mi sarebbe piaciuto rimanere nel mondo dello sport: giocavo da seconda linea nel Petrarca, a volte da terza, e scrivevo anche nel giornalino interno e poi per “Il Padova”, il quotidiano free press che è uscito per qualche anno. Ho pure conseguito il tesserino da giornalista pubblicista. Avevo fatto un’esperienza lavorativa alla Selle Royal, di fatto uno stage, e d’estate affiancavo spesso i nostri agenti di commercio, molti dei quali avevano giocato a rugby, portati in azienda da zio Memo, che spesso trovava loro un lavoro da noi o in altre imprese “amiche” o in banca, non essendoci il professionismo nel rugby. Ma la svolta c’è stata solo quell’anno».
E ha deciso di raccogliere il testimone di papà Bruno.
«Oggi ha 81 anni, all’epoca era intorno alla settantina e in un certo senso mi ha messo le strette, perché se non avessi continuato l’attività avrebbe dovuto cedere tutto. Avevo 29 anni, e ho capito che era la scelta migliore per me. Lui ha cominciato a delegarmi compiti, via via sempre di più, affiancandomi e mostrandomi come funziona l’azienda. Ma in realtà rimane un riferimento: scherzando noi diciamo che fa il presidente della Repubblica. A 81 anni potrebbe godersi la pensione, ma è uno di quegli uomini vecchio stile, con una passione vera per il lavoro».
La nuova svolta è arrivata l’anno scorso, da quando è ufficialmente il titolare.
«Sì, nel 2019 ci siamo uniti con un’altra realtà del settore, che è stata convogliata nella nostra, e ho come socio Jacopo Zen, che ha la mia età e da un anno gestisce con me Geremia Lubrificanti. Assieme stiamo pensando al futuro. E in questa direzione va anche la nostra recente partecipazione al Bando Innovazione, dove siamo stati affiancati da Confapi: stiamo cercando di rinnovare un po’ tutto. A breve provvederemo a cambiare sito, e abbiamo introdotto un Crm, overo un nuovo gestionale che faciliterà il lavoro degli agenti e ci consentirà di ampliare la rete vendita e di capire in modo più puntuale che strade prenderà il mercato. Non è in assoluto una novità, ma lo è per un’azienda come la nostra. È un modo anche questo per crearci la base per il nostro lavoro futuro, perché quando si parla di ricambio generazionale non si tratta solo di succedere a chi ha fondato l’azienda, ma si deve anche pensare a cosa accadrà per i propri dipendenti che spesso, per aziende in piedi da più anni come la nostra, sono a loro volta vicini alla pensione».
Un accenno all’attualità è doveroso: che conseguenze ha avuto l’epidemia per voi?
«Aprile è stato un mese di sofferenza, anche se per fortuna non abbiamo mai smesso di lavorare grazie al nostro codice Ateco, essendo la nostra un’azienda nella filiera dei trasporti. Ma circa il 70% dei nostri clienti ha chiuso e quindi per forza di cose ne abbiamo risentito. Siamo piccoli: oltre a papà, me e Jacopo contiamo su 6 dipendenti e non abbiamo avuto problemi di cassa integrazione, anche se ci sono state ripercussioni negli insoluti, che sono triplicati. Nel 2019 abbiamo avuto un fatturato di 5 milioni e mezzo, ovviamente nel 2020 calerà. A maggio le cose sono un po’ migliorate, anche se non moltissimo, vedremo ora se riusciremo a tornare a regime. Io voglio essere ottimista».
Nel frattempo non ha mai perso di vista lo sport. Ci racconta come nasce questo amore?
«Sono sempre stato appassionato di sport. Da piccolo giocavo a pallacanestro, sempre col Petrarca, quando ancora c’era il glorioso Tre Pini in Prato della Valle. Ricordo le domeniche in cui con papà Bruno andavamo all’Appiani a vedere il Padova alle due e mezza e poi ci trasferivamo direttamente lì per vedere le partite di basket. Papà è diverso dallo zio, si è appassionato di rugby solo quando ho iniziato a giocare io. E devo dire che in campo qualche soddisfazione me la sono tolta, non perché sia forte io ma perché ero nella nidiata dei vari Bergamasco, Barbini e Ghiraldini, con cui ho vinto uno scudetto a livello giovanile, rompendomi però anche un ginocchio…».
Cosa le ha insegnato il rugby?
«I punti di contatto con la vita d’impresa sono numerosi. Già mio zio ha sempre cercato di trasferire quello spirito in azienda, ed è quello che provo a fare pure io, trasmettendo l’idea di squadra, e lo spirito di sacrificio necessario per raggiungere i tuoi obiettivi. Ma anche la consapevolezza che è importante avere ambizioni e che occorre lavorare in team per arrivare assieme alla meta, uniti nel modo in cui ci poniamo di fronte ai nostri avversari, che sono i competitors presenti nel marcato».
Diego Zilio
Ufficio Stampa Confapi Padova