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DI NOTO: «LA GERMANIA HA INVESTITO 9 MILIARDI NELL’IDROGENO, NOI 2 O CAMBIAMO PROSPETTIVE O RIMARREMO TAGLIATI FUORI»

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Proseguono la serie di interviste ai saggi che compongono il Comitato Tecnico Strategico di Veneto Sviluppo, chiamati a indicare le scelte di sviluppo della Regione e intercettare i fondi del PNRR

 

Idrogeno utilizzato come combustibile e fonte di luce e calore? Ci aveva pensato già Jules Verne, nel suo romanzo “L’isola misteriosa”, del 1874. Quasi 150 anni dopo, la Commissione Europea identifica l’idrogeno come uno dei settori chiave e imprescindibili per raggiungere gli obiettivi di decarbonizzazione al 2050.
Assieme al professor
Vito Di Noto, Ordinario di Elettrochimica per l’Energia e Chimica dello Stato Solido all’Università di Padova, abbiamo cercato di capire perché gli investimenti in questo settore sono così importanti per il nostro futuro e perché lo sono quelli nelle batterie di nuova generazione.

«Il mio campo è essenzialmente quello della conversione e dello stoccaggio dell’energia. Sappiamo quanto si sta investendo nelle batterie, specie nel traporto elettrico ma non solo nel settore automotive. Le batterie oggi sono presenti ovunque, anche se non ci riflettiamo mai: basti pensare che oggi in Italia ognuno possiede un telefonino o a come già al primo vagito i neonati siano accostati a sensori che consentono di prevenire i rigurgiti, che funzionano appunto a batterie».

E perché è un settore chiave per l’Advisory Board?

«Se il compito del Cts è quello di indicare una direzione che consenta di consolidare la nostra economia, aggiornandone le linee anche alla luce dei problemi emersi con il Covid, proprio le batterie rivestono un ruolo di primo piano: e questo anche perché, semplicemente, le nostre aziende hanno la necessità di non dover comprare tutti i materiali di base in Cina, in modo da poterle sviluppare in Europa, arrivando a produrne di nuova generazione, con elevate caratteristiche di sostenibilità e durata. In Veneto in parecchi stanno operando in maniera slegata, ma il futuro va in questa direzione e non a caso si sta cercando di convertire alcuni impianti di Marghera perché producano batterie al litio».

L’altro settore chiave è l’idrogeno.

«Sì, a partire dal cosiddetto idrogeno green, che è il risultato dell’elettrolisi dell’acqua e che non va assolutamente confuso con il fotovoltaico. Quando ne parliamo ci riferiamo agli elettrolizzatori e alle celle a combustibile. Il settore idrogeno è considerato sinergico e complementare allo sviluppo del settore batterie e della filiera dell’elettrico: sono fondamentali per la transizione energetica epocale a cui assisteremo nei prossimi decenni. A questo riguardo, vale la pena di focalizzare l’attenzione sulla tecnologia alla base della sua produzione: il processo di elettrolisi e gli elettrolizzatori. Esistono molti modi per produrre l’idrogeno ma quello più pulito è l’elettrolisi dell’acqua, un processo in cui il passaggio di corrente elettrica scompone l’acqua in idrogeno gassoso e ossigeno, ancora poco utilizzato dall’industria per i costi elevati. L’elettrolisi è al momento competitiva solo per alcune produzioni, tuttavia permette di produrre idrogeno altamente puro e consente un’elevata flessibilità. E quindi, chiediamoci: perché sviluppare le celle a combustibile accoppiate con l’idrogeno è così importante in ottica futura? Ad esempio perché oggi la capacità di una batteria al litio quando si trova a zero gradi centigradi scende al 30%. È un problema che deve essere risolto e che consentirà di fare enormi guadagni a chi ci riuscirà, nel momento in cui la ricerca si interfaccerà con le tecnologie».

Le capacità delle batterie si riducono notevolmente col freddo, eppure le auto elettriche funzionano anche in Scandinavia, dove pure le temperature sono spesso sotto zero per lunghi periodi dell’anno.

«Sotto zero gli accumulatori vengono sottoposti a un notevole shock termico che ne determina il crollo della durata. Per riuscire a farle andare lo stesso le auto, le loro batterie vengono sovradimensionate. Ma possiamo fare un altro esempio analogo abbastanza banale, che fa capire quanto sia importante fare progressi in questo settore: vi è mai capitato di essere in vacanza in Croazia col cellulare che non riesce a trovare l’antenna più vicina per collegarsi? Non riconoscendo le antenne, continua a mandare impulsi di energia e in un paio di ore si scarica, lasciandoci senza la possibilità di utilizzare il telefono. E come mai invece esistono satelliti che accumulano corrente e anche dopo vent’anni continuano a funzionare? Grazie, appunto, agli elettrolizzatori. Io stesso ne ho un paio che ancora funzionano in laboratorio dopo vent’anni e sono ancora in buona salute. Le celle a combustibile sono importanti per il trasporto pesante (in Italia abbiamo 4 sommergibili che le usano), per la nautica. Per cui se mi chiedete la direzione in cui andare, è quella che ci consentirà un impiego più massiccio di queste tecnologie, che pure oggi richiedono materiali elettrocatalizzatori a base di platino, fragili e costosi. Ma guardate che la Germania nel giugno del 2020 ha sottoscritto investimenti per 9 miliardi in questo campo, puntando su questo combustibile alternativo per sostituire l’energia fossile e nucleare e applicarlo nei settori del riscaldamento e dei trasporti - soprattutto per movimentare beni pesanti e nell’aviazione. I francesi lo scorso settembre hanno invece stanziato 7 miliardi. Mentre noi nel PNRR, a riguardo, abbiamo stanziamenti per 2».

Cogliamo una critica neanche troppo velata alla politica energetica italiana.

«Io non do giudizi, dico che nel Cts, tra le attività previste, c’è quella di guardare cosa fanno gli altri. E gli altri si comportano come ho detto, e hanno indicato chiaramente quale direzione deve prendere la ricerca. Per quanto mi riguarda, io dico che farò di tutto per mettere in correlazione ricerca, know how e sviluppo di prodotti ad alto TRL, acronimo che viene dall’inglese Technology Readiness Level e che stima la maturità tecnologica di un prodotto. Permettetemi un altro esempio: all’inizio del secolo scorso si costruivano macchine a vapore, ci si basava sui principi della termodinamica e le strade erano ferrate. Sembrava che non ci fossero altre prospettive di sviluppo e invece il mondo è andato avanti, no? Lo dico perché rischiamo di ritrovarci in una situazione simile a quella di chi è rimasto fossilizzato sulle macchine a vapore. Ecco: o cambiamo del tutto prospettiva o rimarremo tagliati fuori».

 

 

Articolo a cura di
Diego Zilio
Ufficio Stampa Confapi Padova
stampa@confapi.padova.it

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