All’indomani della votazione dell’Europarlamento, Fabbrica Padova, centro studi di Confapi, ha messo in fila alcuni dati relativi alla filiera automotive, che, in provincia, coinvolge 240 imprese. Il direttore Davide D’Onofrio: «Servono una visione condivisa sul piano ambientale e un piano industriale in grado di sostenere il comparto all’interno di un paradigma tecnologico in costante evoluzione. Rischiamo di smantellare un settore industriale di eccellenza, finendo per andare a dipendere da potenze straniere». Le testimonianze degli imprenditori Giancarlo Piva (Micromeccanica) ed Ermes Nicoletto (Modelleria Nicoletto Ermes).
L’Europarlamento ha votato per l’addio ad auto e furgoni nuovi, a benzina e diesel, dal 2035. Una decisione che Confapi Padova critica con forza, considerando sbagliati sia i vincoli temporali della misura, sia le sue modalità di attuazione. Senza considerare l’impatto che avrà sulla filiera dell’automotive, una delle più importanti del Paese.
Fabbrica Padova, centro studi dell’Associazione delle piccole e medie imprese, ha messo in fila alcuni dati che consentono di disegnare il perimetro della filiera. A oggi, nel solo territorio padovano, sono 240 le imprese impegnate nella fabbricazione di autoveicoli e altri mezzi di trasporto, quasi la metà delle quali attive nella subfornitura, e si stima che diano lavoro a oltre 2.200 persone. Rappresentano circa il 23% delle imprese venete nel settore che, a loro volta, sono l’8% delle aziende nell’automotive a livello nazionale. Le esportazioni delle aziende padovane che lavorano nella produzione di componentistica dei mezzi di trasporto nel 2021 hanno superato i 331 milioni di euro, risentendo del calo nelle vendite generato dalla pandemia: basti pensare che, appena due anni prima, nel 2019, il totale dell’export padovano nel settore superava i 523 milioni. Allargando la prospettiva all’intera Italia, vale la pena di rimarcare che sono 195 mila gli addetti della filiera, capace di realizzare un fatturato complessivo di oltre 54 miliardi. Circa 80 milioni, invece, i veicoli italiani venduti nel mondo nel 2022.
IL COMMENTO
«Il provvedimento è in odore di riesame fra tre anni: non è escluso che nel 2026 l’esecutivo UE possa riconsiderare i paletti imposti. E auspichiamo che lo faccia», afferma il direttore di Confapi Padova Davide D’Onofrio nella sua analisi della questione. «Ce lo auguriamo perché fermare la produzione dei motori diesel e benzina porta con sé una serie di conseguenze di cui la politica europea non sembra aver compreso la portata. Servono una visione condivisa sul piano ambientale e un piano industriale in grado di sostenere il comparto all’interno di un paradigma tecnologico in costante evoluzione e che segue linee di sviluppo difficilmente prevedibili. Rischiamo di smantellare un settore industriale di eccellenza, finendo per andare a dipendere da potenze straniere. Intendiamoci: siamo i primi a dire che occorre occuparci della questione ambientale, ma siamo sicuri che sia questa la soluzione migliore per farlo? Così si fermano gli investimenti sui biocarburanti, che sono molto meno inquinanti dei carburanti tradizionali, per consegnarsi completamente a una tecnologia che potrebbe essere superata da nuove fonti energetiche come le auto a idrogeno. Ma, più ancora, dobbiamo tener conto delle ricadute economiche di questa decisione. Viene infatti colpito un settore di eccellenza per l’Italia. E guardate che a essere danneggiate non saranno soltanto le grandi case automobilistiche, ma tutta la filiera composta anche da numerose piccole e medie aziende della componentistica che danno lavoro a migliaia di persone, con costi sociali ed economici pesantissimi».
Sulla stessa linea anche la posizione presa dalla Confederazione a livello nazionale: «Abbiamo sempre sottolineato a tutti i livelli istituzionali le criticità che questa misura comporta», afferma il vicepresidente nazionale di Confapi, Corrado Alberto. «Eliminando il know-how della componentistica dei motori termici all’Italia e all’Europa, e considerando la leadership tecnologica sull’elettrico in capo ai Paesi asiatici, il rischio di delocalizzazione a lungo termine dell’intero settore è un'ipotesi molto concreta. La decisione del Parlamento europeo non è procrastinabile ma riteniamo che la transizione ecologica non possa prescindere da una sostenibilità economica. Per questo è necessario adottare fin da subito una nuova politica industriale che possa far transitare chi uscirà dal mercato del lavoro dell’auto termica verso nuove frontiere. Bisogna adottare una politica energetica e industriale che si focalizzi soprattutto sulla produzione nazionale di energie rinnovabili a partire dal fotovoltaico che possa venire prodotto, rigenerato e smaltito in Italia. Altrimenti saremmo costretti a rifornirci non solo delle componenti di auto elettriche in Cina e in Asia ma anche degli elementi per la produzione della stessa energia elettrica. E questo non possiamo permettercelo».
LE TESTIMONIANZE
Sul tema, Confapi Padova ha voluto raccogliere anche le opinioni di un paio di imprenditori associati.
PIVA: «DECISIONE CHE NON TIENE CONTO DELLA REALTÀ»
Giancarlo Piva è titolare di Micromeccanica, azienda della zona industriale della città del Santo che produce particolari di torneria dando lavoro a 40 dipendenti, con un fatturato di una decina di milioni di euro l’anno. Sulla questione evidenzia: «Anche noi, in parte, facciamo parte della filiera automotive, producendo valvole che si usano per i camion (autocarri, pullman a lunga percorrenza e rimorchi dovranno tagliare del 90% la CO2 emessa entro il 2040, ndr). Non nascondo che la preoccupazione per le aziende del settore c’è e che trovo che l’Europarlamento abbia preso una decisione, semplicemente, folle. In primis perché non si considerano le migliaia di lavoratori impegnati nelle aziende del settore, che nel nostro territorio sono attive in particolare nella subfornitura, lavorando per i più importanti marchi tedeschi. E poi perché mi sembra una forzatura considerare l’elettrico come la panacea di tutti i mali, in quanto la produzione e lo smaltimento delle batterie comporta alte emissioni inquinanti - e questo non lo dico io, ma lo attestano i dati. Dopodiché c’è un’altra considerazione che mi fa pensare che sia stata presa una decisione che non tiene conto della realtà: se io oggi volessi andare da Padova a Torino con un’auto elettrica, dove mi fermerei a ricaricarla? Ecco perché dico che prima occorre creare le condizioni per dare impulso al settore - a partire, banalmente, dalla presenza diffusa delle colonnine di ricarica - e poi si procede di conseguenza. In questo caso, invece, si è ragionato all’incontrario».
NICOLETTO: «RESTERÀ SOLO CHI RIUSCIRÀ A CONVERTIRSI»
Diversa la situazione Modelleria Nicoletto Ermes, impresa di Vigodarzere che si occupa della costruzione dei più elaborati stampi per termoformatura e iniezione plastica e di conchiglie per fusioni di alluminio per gravità o in bassa pressione, dando occupazione a una trentina di persone: «Siamo presenti nell’automotive costruendo modelli di stampi, collettori di scarico e turbine, lavorando sia per le carrozzerie che per i motori», spiega il titolare Ermes Nicoletto. «È chiaro che lo stop ai motori endotermici porterà a una stretta per tutte le fonderie, e occorre anche capire come questo provvedimento impatterà per chi è nella filiera dei motori a idrogeno, come noi, che ci occupiamo anche della costruzione di serbatoi. Dopodiché, è evidente che l’obiettivo è quello di ridurre le emissioni inquinanti e che la direzione presa è questa, ne consegue che resterà sul mercato chi riuscirà a riconvertirsi. Per nostra fortuna, da sempre, abbiamo saputo diversificare la produzione per cui non sono troppo spaventato da questo punto di vista: facciamo qualsiasi tipo di stampo, ed è la nostra carta vincente. Ma non vale lo stesso per tutte le modellerie, per cui temo che uno scossone, in un settore che già ha visto molte aziende scomparire negli anni, ci sarà. L’altro elemento su cui riflettere è legato al fatto che non ha senso che a preoccuparsi dell’ambiente siamo soltanto noi, se in altri continenti non saranno prese misure analoghe e non c’è la stessa sensibilità verso l’ambiente».
Nella foto il direttore di Confapi Padova Davide D’Onofrio
Diego Zilio
Ufficio Stampa Confapi Padova