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«VORREI CHE MIO PADRE AVESSE FATTO IN TEMPO A VEDERE FINITO QUELLO CHE HA INIZIATO A COSTRUIRE»

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Un fatturato quintuplicato in dieci anni, continui investimenti nonostante le crisi. L’esperienza vincente di Officine Zorzo

Tredici milioni di fatturato, 8 milioni di investimenti concentrati negli ultimi due anni. «E ora dobbiamo farli fruttare, epidemia o no». Fabio Zorzo racconta l’azienda di famiglia. Guardando al futuro ma partendo dagli insegnamenti del padre Severino, a partire da quel «ogni debito va rispettato, anche nei momenti difficili». E da quella prima fresatrice Saimp «che tenevamo in garage al posto dell’auto, con cui tutti in famiglia abbiamo iniziato a lavorare».

Già, ci racconti di suo padre.

«Veniva da una famiglia di agricoltori, lo erano quasi tutti all’epoca a Villa del Conte. Cominciò come operario alla Parpas di Cadoneghe, che, in quei tempi, produceva macinini per caffè. Poi, negli anni ’60, dovette fare i conti con una grossa crisi e, lasciato a casa, fu costretto a emigrare in Germania, per lavorare alla Gildemaister. Fu un’esperienza estremamente formativa per lui, che faceva il fresatore meccanico. Al ritorno in Italia si trasferì alle Officine Fabris di Cittadella. E, nel 1977, decise di mettersi in proprio e di iniziare “l’avventura” dell’imprenditore, con una piccola fresa tradizionale, una Saimp, a Villa del Conte».

Quella che è ancora esposta in azienda?

«Purtroppo no. Molti anni dopo ho cercato di riaverla come cimelio. Non sono riuscito a ritrovare proprio quella, ma ne ho recuperato una in tutto e per tutto analoga e l’ho esposta. Ci tenevo perché lì abbiamo tutti cominciato a lavorare in famiglia, mia madre Adelina, io e mio fratello Luca. Lo sapete, i soldi erano pochi e ognuno dava una mano. Mi ricordo che quando avevo 7 anni tenevamo l’auto di famiglia fuori dal garage, perché dentro lavorava papà. E io da piccolo non avevo trattorini ma giocavo con i truciolini di ferro che caricavo sulle macchinette, al posto della sabbia».

Un primo cambio di passo arrivò col decennio successivo, giusto?

«Sì, all’inizio degli anni 80 papà si mise in società con un collega tornitore, in modo da poter garantire il completamento della lavorazione meccanica. Una decina di anni dopo si sono divisi e siamo entrati in società io, mio fratello e mia madre. La vera svolta arrivò con la costruzione della nuova fabbrica, ma è stata a dir poco tribolata: ci abbiamo messo 16 anni per completarla nei suoi 7 mila metri quadrati, e ditemi voi se è possibile che occorra una trafila del genere per creare posti di lavoro in Italia... È stata inaugurata ufficialmente nel settembre 2011, ci eravamo dentro già da prima, ma vi dico solo questo, per quanto sembri incredibile: dal 2009 e per tutto il 2010 per farla funzionare dovevamo utilizzare un generatore di corrente da 130 kilowatt. Fa specie dirlo, perché non siamo sperduti nei monti in Sardegna, ma qui in Veneto. Eppure era l’unico modo di avere la corrente che ci serviva».

Colpisce anche il fatto che l’abbiate ultimata negli anni della crisi.

«E tutti in paese dicevano che eravamo fuori di testa, perché l’aria che tirava era quella di una crisi che sarebbe durata a lungo. Avevamo una trentina di dipendenti e per non lasciarli a casa o in cassa integrazione abbiamo fatto lavorare più di qualcuno dei nostri uomini alla sua costruzione e a montare impianti. Di fatto quel capannone ci ha permesso di allargarci e prendere nuove macchine, anche perché le cose si sono messe meglio per l’intera economia. E mi spiace davvero che mio padre, mancato nel 2010 per un infarto a 68 anni, abbia visto il capannone in costruzione ma non completato, e sia riuscito solo a vedere la nuova fresatrice».

Da allora vi siete ingranditi ancora, però.

«Nel 2015 ci siamo ampliati ulteriormente di altri 800 metri quadrati e nel 2018 abbiamo acquistato altri 6 mila metri quadrati di terreno, utilizzandoli per spostare tutta la zona di carpenteria e ampliando il capannone di altri 4.500 metri: ora son 12.500. In più, sempre in tema di investimenti, a dicembre 2018 abbiamo acquistato una nuova macchina fresatrice che costa 3,5 milioni a cui abbiamo aggiunto altro mezzo milione di fondazione per sistemarla, anche aiutandoci attraverso il Bando Macchinari. Li abbiamo spesi sotto Natale, per cui diciamo che è un regalo… per chi ce l’ha venduta - sorride. Di fatto, negli ultimi due anni abbiamo investito quasi 8 milioni di euro».

Oggi occupate 85 persone e avete chiuso il 2019 con un fatturato intorno ai 13 milioni di euro, in crescita di poco meno del 10% rispetto all’anno precedente e di circa 5 volte rispetto ai 2,8 milioni del 2009. Davvero non male. Ancora una volta, però, vi siete trovati a spendere sotto crisi. Questo non cambia i vostri obiettivi?

«Io li ho spostati, ma so che devo vederli realizzati, perché gli investimenti li abbiamo già fatti, terminandoli esattamente un mese prima che esplodesse la pandemia. Ora devo far funzionare l’azienda, non ho alternative. E se c’è un insegnamento che mi ha lasciato mio padre e che terrò sempre a mente è che ogni debito va rispettato. Dal ’77, a memoria, non ricordo un solo nostro insoluto e continueremo a seguire quel principio. Allo stesso tempo posso dirvi che lo stipendio che ricevo ogni mese è grosso modo equivalente a quello che prenderei lavorando come dipendente per tutte le ore che faccio. Ma mi va bene così. Il fatto che tutti gli utili realizzati vengano reinvestiti in azienda è una delle ragioni per cui siamo riusciti a sopportare le periodiche crisi che ci sono. Supereremo anche questa».

Diego Zilio

Ufficio Stampa Confapi Padova

stampa@confapi.padova.it

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