Mentre si corre contro il tempo per mettere a terra i progetti legati al PNRR, abbiamo provato a fare il punto intervistando il presidente di Veneto Sviluppo Fabrizio Spagna, che coordina il Comitato Tecnico Scientifico al lavoro sul “mini-PNRR” regionale: «Siamo pronti, ma i bandi ministeriali tardano ad arrivare».
Dal simulatore di Luna e Marte ai dispositivi anti-hacker in versione quantistica. Nei 19 progetti presentati dal Comitato tecnico scientifico di Veneto Sviluppo - da finanziare con 650 milioni grazie al Piano nazionale di Ripresa e Resilienza, in collaborazione con le imprese del territorio - c’è molto hi-tech.
Il Comitato, lo ricordiamo, si è attivato fin dalla metà del 2021, raccogliendo eccellenze accademiche e imprenditoriali e giungendo a presentare un piano di proposte concrete già a febbraio 2022. Quattro i settori specifici: spaziale, energia, biotech-pharma e quantistico. Arrivano, invece, col contagocce i bandi ministeriali o di altre agenzie nazionali o internazionali.
Presidente Fabrizio Spagna, a che punto siamo con la messa a terra dei progetti?
«La struttura del PNRR prevede che siano le aziende a fare le richieste di finanziamento, il nostro è un ruolo di coordinamento e supporto della progettualità. Alcuni progetti avevano le caratteristiche adatte a una rapida messa a terra, e mi riferisco nello specifico a quelli legati a biotecnologie e idrogeno, altri, e penso a quelli legati alla space-economy, richiedono tempi più lunghi. Diversi sono andati avanti anche senza i soldi del PNRR, utilizzando le risorse delle stesse imprese o l’intervento di alcune banche del territorio, per supportarle finanziariamente in attesa dei bandi ministeriali».
A che punto siamo, a questo riguardo?
«Stiamo assistendo a una certa lentezza nell’uscita, e questo perché i ministeri sono rimasti ingolfati. Se, ad esempio, gli interventi progettuali coordinati dal professor Vito Di Noto - su idrogeno e batterie, nell’area di Marghera - hanno potuto usufruire di uno stanziamento superiore ai 20 milioni, è accaduto perché erano gli unici che prevedevano un intervento diretto della Regione. Ma la situazione è abbastanza variegata, ed è complicato, al momento, indicare una percentuale di realizzazione. Quello che mi sento di dire è che sarebbe necessario un maggior coinvolgimento delle regioni. Ma il primo passo era lavorare sulla progettualità: quando ci si renderà conto che i soldi ci sono ma non i progetti, chi quei progetti li ha pronti sarà per forza di cose avvantaggiato».
Il rischio di perdere almeno metà dei soldi del PNRR - un centinaio di miliardi sui 209 previsti - a causa di ritardi e burocrazia, continua a tenere banco negli ambienti di governo. Lei che idea si è fatto?
«La sensazione è che il modello accentratore abbia lati positivi, su tutti il fatto di poter tenere sotto controllo le risorse e valutare come vengono spese. Ma anche lati negativi, perché l’accentramento richiede poi strutture e capacità di gestione tali da evitare che si creino poi colli di bottiglia. Ed è su quest’ultimo aspetto che siamo stati carenti. Non mi sento di assegnare responsabilità, perché non è il mio compito e sarebbe oltretutto ingeneroso per chi ci ha lavorato, ma l’impressione è, appunto, che i colli di bottiglia siano un po’ troppi».
Sin qui nei vostri progetti sono state coinvolte aziende di grandi dimensioni, ma è ipotizzabile una ricaduta per le imprese più piccole?
«Ciò che il PNRR sta mettendo in evidenza, per come è stato strutturato e in base ai bandi che finora sono usciti, è che le imprese coinvolte direttamente sono per forza di cose quelle più grandi. È altresì vero che queste imprese, dotate di “spalle più larghe”, se vogliamo dirla così, e di una struttura organizzativa in grado di far fronte alle necessità burocratiche che questi bandi richiedono, generano una cascata che potrà coinvolgere anche quelle di dimensioni minori. Il modello prevede che le grandi imprese portino avanti le commesse, sì, ma avviando una filiera. A oggi è però prematuro indicare come si svilupperà la filiera, dal momento che la maggior parte dei bandi non è ancora uscita e che non sono stati assegnati».
In tutto questo è evidente che sta cambiando il ruolo di Veneto Sviluppo, meno “bancomat” e soggetto gestore di fondi di rotazione e più luogo privilegiato per richiamare investimenti esteri. Non a caso, in sede di insediamento del CTS, lei stesso lo aveva presentato dicendo che riuniva «le migliori teste tra quelle che potevamo mettere in campo» e che avrebbe definito «le linee strategiche su cui la Giunta regionale costruirà la propria programmazione nei prossimi anni».
«Sì, assolutamente, il ruolo di Veneto Sviluppo è cambiato. A riguardo, ci sono precise indicazioni da parte del presidente Zaia, che punta a una finanziaria molto più moderna e adatta al territorio. Ma è un percorso dettato anche dal mercato: se cambiano le sue condizioni, devono cambiare anche le modalità operative. Ecco perché Veneto Sviluppo sta diventando molto più attenta a problematiche strategiche e non solo “tattiche” come erano quelle legate ai finanziamenti a supporto delle piccole imprese: questo è un ruolo utile e che resterà, ma dobbiamo anche individuare modelli e opportunità di sviluppo, come stanno facendo altre regioni oltre alla nostra. È chiaro che serve un cambio di mentalità, ma è necessario di concerto anche un cambiamento dal punto di vista organizzativo».
Questo solleva un altro tema che interessa da vicino il mondo delle piccole imprese: dopo il grande riscontro avuto dalla Dgr 885/2019, che l’anno scorso ha movimentato 120 milioni di euro, contribuendo a incentivare gli investimenti tecnologici nel territorio, è ipotizzabile che venga riproposta una misura analoga?
«Lasciatemi dire che il ruolo di Veneto Sviluppo è stato centrale nella ripartenza del tessuto economico, a valle di un elemento di forte discontinuità come è stato il Covid. È stata Veneto Sviluppo a mettersi pancia a terra per ragionare sul da farsi e proporre nuove modalità di intervento a supporto del territorio, che tenessero conto delle necessità delle piccole e piccolissime imprese. In questo, c’è da dire, siamo stati aiutati dall’assessore Marcato, che ha creduto in noi e nei nostri progetti. Le misure racchiuse nella Dgr 885 hanno riscosso successo ma non sono state le uniche in campo: penso ai piccoli finanziamenti fino a 50 mila euro assegnati attraverso i confidi e al nuovo modello di erogazione di aiuti assieme alle banche, nella modalità di condivisione del rischio. Oggi, però, la riproposizione delle misure dipende dalle risorse che avremo a disposizione, perché purtroppo dovremo fare i conti con i numeri. Io posso dire che quella misura è stata molto apprezzata e meriterebbe di essere riproposta, ma occorre capire anche quale direzione prenderanno i bandi europei destinati a essere attivati e che indicheranno le vie da seguire. In questo momento, non mi sento però di indicare aspettative e date certe, perché siamo ancora nella fase di progettazione».
Dopo che l’ex direttore generale Gianmarco Russo è entrato nella squadra di Confindustria Veneto Est la figura è ancora vacante. Quando arriverà il nuovo direttore di Veneto Sviluppo?
«È stato avviato un iter canonico, come abitualmente si fa in questi casi. La ricerca di una figura apicale richiede strumenti adeguati, speriamo di avere novità a breve».
Diego Zilio
Ufficio Stampa Confapi Padova
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