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SPERDUTI: «L’INTELLIGENZA ARTIFICIALE? È GIÀ ALLA PORTATA DELLE PICCOLE IMPRESE MA SI PUÒ FARE ANCORA MOLTO»

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Concludiamo la serie di interviste ai saggi che compongono il Comitato Tecnico Strategico di Veneto Sviluppo, chiamati a indicare le scelte di sviluppo della Regione e intercettare i fondi del PNRR.

 

L’intelligenza artificiale rappresenta un’opportunità e uno strumento per accelerare la crescita digitale dell’Italia con benefici che, oltre a riguardare il mondo industriale, interessano la società nel suo complesso. Pertanto, risulta oggi più che mai fondamentale puntare su questa nuova frontiera tecnologica, che si presenta come una leva cruciale per trasformare il Paese.

«In realtà di intelligenza artificiale si inizia a parlare dagli anni ’40 e ’50, un periodo di grande fermento scientifico legato allo studio del calcolatore e il suo utilizzo per sistemi intelligenti. Tuttavia, poiché i macchinari dell’epoca non disponevano di una capacità computazionale adeguata, per molto tempo non si andò avanti», premette il professor Alessandro Sperduti, docente di Matematica pura e applicata all’Università di Padova. «Negli stessi anni ’90 la tecnologia era sì più matura ma mancava ancora la capacità computazionale - per capirci: non esistevano computer sufficientemente veloci - e non c’erano abbastanza dati a disposizione per far sì che i risultati dell’apprendimento fossero utilizzabili. Le tecnologie, in particolare quelle di deep learning che si ispirano al funzionamento del cervello umano, hanno quindi una storia relativamente più recente».

A cos’è dovuta l’accelerazione degli ultimi anni?

«Sono aumentate la potenza e la capacità di calcolo degli elaboratori, e gli algoritmi si sono fatti più complessi e sofisticati. Parallelamente abbiamo avuto accesso a milioni di dati digitali, personali e non, tramite l’utilizzo della tecnologia. E questo ha fatto sì che fossero replicabili capacità umane con compiti molto specifici, aprendo tutta una serie di possibilità applicative prima impossibili. Negli ultimi venti anni il progresso è avanzato a ritmi rapidissimi, consentendo di raggiungere traguardi impensati. Ed è un trend che il Veneto non può “subire”».

Qual è la situazione del territorio a riguardo e quanta strada hanno ancora da fare le nostre imprese?

«Parliamo di tecnologie che solo da poco tempo si stanno applicando in maniera sistematica, per cui ancora non abbiamo un quadro dettagliato della realtà in cui ci troviamo in Veneto: tra i miei compiti c’è anche quello di conoscerla meglio per arrivare capire quali possano essere le direzioni di sviluppo. In sostanza, comprendere come portare avanti il discorso».

Facile pensare a come il nostro cellulare conosca le nostre preferenze, si sblocchi tramite riconoscimento del volto, e ci sappia indicare quali strade percorrere per arrivare in un posto. Ovviamente le prospettive sono molte altre.

«Le applicazioni sono quelle che possono ottimizzare i processi industriali nelle aziende, rendere più semplice l’interfaccia macchina/uomo e più efficienti i servizi. Alla base c’è comunque il potenziamento delle reti di comunicazione, la vera base di tutto. Non a caso il PNRR ha tra i primi obiettivi quello di diffondere la banda larga il più possibile. Come vedete parliamo di tecnologie e ambiti di impiego trasversali».

Può farci qualche esempio concreto di come l’intelligenza artificiale potrà essere impiegata su larga scala?

«In campo sanitario, un’applicazione tipica è quella che consente di aiutare il medico ad arrivare a una diagnosi, esaminando radiografie e dati che l’essere umano da solo non riuscirebbe a valutare e permettendo di ipotizzare il decorrere di una certa malattia a partire dagli elementi che si hanno a disposizione nel momento in cui si ha a che fare con centinaia di pazienti.

In campo industriale penso all’ottimizzazione dell’utilizzo di macchinari, monitorando i processi di produzione. Grazie al piano voluto dal ministro Calenda - Industria 4.0 poi Impresa 4.0 e Transizione 4.0 - molti macchinari sono diventati di uso comune anche per aziende piccole, migliorando la qualità del lavoro, riducendo gli scarti e l’uso delle materie prime ma riducendo anche il consumo di energia e quindi le emissioni nell’ambiente. Molto altro si può fare però, perché ancora non è stata raggiunta la maturità digitale indispensabile per quel salto di produttività di cui le aziende hanno bisogno. E penso in generale ad aspetti come la pianificazione della produzione, la gestione ottimale del magazzino con conseguente miglioramento del comparto logistico, la progettazione automatizzata, lo sviluppo di nuovi prodotti e servizi, e, appunto, l’efficientamento energetico. Senza contare che l’uso dell’Intelligenza artificiale in ambito manifatturiero permette di avere un maggiore controllo della manutenzione preventiva e predittiva, con grande risparmio di tempo, risorse e costi.

In agricoltura, infine, queste tecnologie possono portare nella direzione di una coltivazione di precisione, riducendo gli sprechi, arrivando a decidere quando irrigare un campo e quanta acqua utilizzare, in base allo stato del terreno, delle piante e di decine di altre variabili. Ma anche controllare la qualità del raccolto e raccogliere informazioni sullo stato delle colture».

Di fronte a questi scenari, viene da chiedersi che fine farà l’uomo…

«Attenzione, io non voglio alimentare il falso mito del computer che non sbaglia mai: il computer sbaglia nel momento in cui il programma che esegue è sbagliato. Resta il fatto che ci sono davanti possibilità che fino a poco tempo fa erano precluse. L’altro falso mito è quello della macchina che sostituirà l’uomo: no, non accadrà. Spariranno alcune attività ripetitive e manuali di poco valore aggiunto dal punto di vista intellettuale, per cui il tipo di lavoro dell’uomo si evolverà. Ma è un po’ quanto è accaduto con la prima rivoluzione industriale, che nel breve ha portato a un problema di occupazione ma a lungo termine ha aperto nuove professionalità. E qui apriremmo il capitolo della formazione, che diventa nodale in questi ambiti, proprio perché all’uomo sono richieste sempre più competenze».

Assieme al Dipartimento di Matematica dell’Università di Padova lei è stato coinvolto dalla Regione Veneto anche nella mappatura dei casi di Covid.

«Abbiamo collaborato in una prima fase sull’esperienza di Vo e poi con il professor Vincenzo Baldo - ordinario di Igiene e Medicina preventiva all’Università di Padova - che ha coordinato le ricerche in questo campo. In sostanza, abbiamo elaborato i modelli matematici relativi alla curva del contagio e ad altre variabili. L’aspirazione è quella di utilizzare le conoscenze accumulate per affrontare in modo migliore eventuali episodi futuri di diffusione di virus - che ovviamente speriamo non ci siano ma che purtroppo non possiamo escludere. Il tutto con l’obiettivo di capire le misure di sanità pubblica che possono abbattere o comunque ridurre i rischi futuri».

 

 

Diego Zilio

Ufficio Stampa Confapi Padova

stampa@confapi.padova.it

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